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Interviste

Omeopatia, Garattini: «L’Ordine dei medici dovrebbe escludere chi utilizza sistematicamente prodotti omeopatici»

Una vita dedicata alla scienza. Solo così è possibile riassumere la figura di Silvio Garattini, medico, ricercatore di levatura internazionale con un’intensa attività di divulgazione alle spalle, ma soprattutto fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano, realtà all’avanguardia per la ricerca, la formazione e l’informazione sulle scienze biomediche, di cui è anche direttore.
«È bene che lei faccia informazione – mi dice poco prima d’iniziare – perché in troppi sull’omeopatia tendono a lavorare allo scopo di confondere le acque».

I sondaggi suggeriscono che un quinto della popolazione italiana utilizza prodotti omeopatici: lei, da uomo di scienza, come giustifica questo dato?

«Semplicemente, non credo al dato. Sono pochi affezionati che si curano tutto l’anno con questi prodotti. Tenga presente che il bilancio delle aziende omeopatiche è stimato intorno ai 300 milioni di euro».

È una cifra esagerata?

«Secondo me, sì. Anzi il dato sugli utilizzatori non sta in piedi».

I numeri segnalano, però, una flessione…

« In verità si tratta di una diminuzione iniziata già qualche anno fa».

Perché, secondo lei, è nato questo mito dell’omeopatia nonostante un’efficacia terapeutica, al momento, ancora da dimostrare?

«Per la stessa ragione per cui non si vogliono i vaccini, la stessa ragione per cui alcuni utilizzano l’erboristeria o molti altri i Fiori di Bach…»

Quale?

«C’è dietro un’industria che preme e un mercato che prova a espandersi».

Il mito dell’omeopatia, quindi, è da ricondurre soprattutto a fattori di mercato?

«No. È un problema, soprattutto, di mancanza di conoscenza scientifica nel nostro Paese. La scuola italiana non educa certo alla scienza».

Intende scienza come contenuti?

«In primis, la scienza come fonte di conoscenza».

Per Omeoimprese il calo del fatturato non è da addebitare alla disaffezione degli utilizzatori, ma riguarda il nuovo processo di registrazione dei farmaci e alla lentezza da parte di Aifa nell’analisi dei dossier.

«No. È un trend che si registra da qualche anno, non dipende solo da Aifa. Peraltro, l’agenzia del farmaco non dà un’approvazione, ma controlla solo che non sia un prodotto tossico per i pazienti».

Nel reportage di SkyTg24 “Nel nome della scienza” una mamma dice: «Sì, ne sono consapevole che qui dentro non c’è niente (riferito ai rimedi omeopatici ndr), però io non posso non prendere atto del fatto che questo niente funziona». Che interpretazione può dare a una risposta del genere?

«La interpreto a livello ideologico. Alle spalle c’è un’ideologia e la mancanza di conoscenza della metodologia scientifica. Come fa a dire che funziona?».

Immagino che la convinzione sia maturata a fronte del successo evidenziato dopo l’utilizzo di questi rimedi, no?

«Mi scusi, ma non esiste nessun rapporto di causa-effetto. Stabilire questo rapporto è una delle cose più difficili. Quando la signora afferma: «Non c’è nulla, ma funziona», implica solo che quel prodotto la faccia star bene, ma su che base fa quest’affermazione?».

Forse dal fatto che si senta meglio, sia lei sia la sua famiglia, dopo l’assunzione di rimedi omeopatici?

«È una conclusione sbagliata perché non ha utilizzato un metodo scientifico per stabilire l’efficacia. Chi l’ha fatto seriamente ha dimostrato che sono rimedi inutili».

Una volta lei ha dichiarato: «Dove c’è cultura scientifica, l’impiego dei preparati omeopatici tende a diminuire». Affermazione, però, che contrasta con l’identikit dell’utilizzatore di prodotti omeopatici, generalmente con una cultura medio-alta e una buona posizione professionale: come lo spiega?

«Mi ripeto: stiamo parlando di persone senza cultura scientifica. L’identikit statistico, cui lei fa riferimento, mi suggerisce che i favorevoli all’omeopatia sono, probabilmente, contrari agli Ogm, contro la sperimentazione animale, contro i vaccini, forse credono pure all’oroscopo e alle scie chimiche. Probabilmente negano anche l’uomo sulla luna».

Insomma, legge questi dati come sintesi di un identikit ideologico.

«Sì. D’altra parte, ascoltiamo dichiarazioni anche di chi crede alla terra piatta.
Attribuisco parte delle colpe alla scuola che non è permeata di scienza al pari, per esempio, di letteratura e filosofia. Chi può sostenere che la “Divina Commedia” sia un’opera di scarsa importanza? Nessuno. Sarebbe preso per sciocco. Ecco, per la scienza l’approccio è diverso e ognuno si sente legittimato ad avere un parere».

Per esempio se vaccinarsi oppure no…

Esatto. Non può chiedere un parere al greco o al latino. Solo la scienza può fornire risposte adeguate, ma se non ha studiato e non ha avuto contatti con la scienza…».

La sua risposta mi fornisce l’opportunità per sollevare l’ambiguità in cui si muove Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri). Prende le distanze dall’omeopatia ma, al tempo stesso, annovera nei propri elenchi i medici omeopati.

«Esistono più di trecentomila medici, il numero di coloro che prescrivono rimedi omeopatici rappresenta una percentuale praticamente insignificante. Lo scontro in atto all’interno di Fnomceo è minimo».

Tuttavia, seguendo il suo ragionamento di poco fa, questi medici dovrebbero possedere cultura scientifica, mi sbaglio?

«Anche loro non hanno questo tipo di cultura, perché nessuno gli ha mai insegnato, tantomeno all’Università, la metodologia scientifica. Quello che deve meravigliare è altro.
Per esempio, che l’Ordine dei medici mantenga al proprio interno utilizzatori di pratiche che vanno contro l’interesse dei pazienti. Anzi, come l’Ordine ha avviato procedimenti nei confronti degli iscritti che facevano propaganda contro le vaccinazioni, dovrebbe decidere di escludere anche chi utilizza sistematicamente prodotti omeopatici».

Ha una posizione molto netta.

«Sì, perché se è vero che i rimedi omeopatici non fanno male, è altrettanto vero che possono ledere gli interessi dei pazienti. Ci preoccupiamo dell’omeopatia, dicevamo, per questioni di cultura generale, ma dobbiamo tener conto anche dei problemi legati alle omissioni.
Se trattiamo con l’omeopatico una situazione infettiva dove, invece, è necessario usare gli antibiotici si ledono gli interessi dei pazienti».

Ricollegandomi al titolo del suo libro [1] le chiedo: l’omeopatia è acqua fresca? Per il presidente di Omeoimprese, sette farmaci su dieci in commercio contengono principio attivo.

«Noi, spesso, abbiamo compiuto analisi con metodi molto sensibili senza trovare nulla. Peraltro, parliamo sempre di prodotti privi d’indicazioni terapeutiche».

Che cosa pensa della possibilità di detrarre parte del costo sostenuto per l’acquisto di farmaci omeopatici? S’ipotizza una cifra vicina ai 50 milioni di euro, contestata però da Omeoimprese che la ritiene molto più bassa.

«Facendo un rapporto tra fatturato e utilizzatori, potrebbe anche essere più alta. Però, al di là della cifra in sé, trovo proprio sbagliato che si possa chiedere il rimborso. Lo stato non deve speculare sulle cose che non funzionano».
(1 – continua)

note:
Le prime due puntate le trovate qui, e qui
[1] A cura di Silvio Garattini, “Acqua fresca?”, Sironi Editore

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