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Interviste

Omeopatia (1), la guerra in farmacia

In Italia, tra i 9 e i 10 milioni di persone utilizzano l’omeopatia [1], quasi un quinto della popolazione. L’identikit fornito da questo sondaggio vede le donne al primo posto tra gli utilizzatori (63%), di età compresa tra i 35 e i 54 anni, con una buona occupazione, che risiedono prevalentemente al nord. Nonostante la diminuzione dei fatturati, negli ultimi anni non si riscontra, però, una rilevante flessione tra gli utilizzatori dei rimedi omeopatici.
Al fine di approfondire un tema molto divisivo, soprattutto nel nostro Paese, abbiamo incontrato il presidente di Omeoimprese (l’associazione, nata nel 2008, delle aziende produttrici di medicinali omeopatici ndr), Giovanni Gorga [2].

Dottor Gorga, il sondaggio commissionato a Emg-Acqua non evidenzia un calo tra gli utilizzatori di rimedi omeopatici, però i dati sottolineano un calo del fatturato.

Allora, chiariamo questa favola metropolitana…
Il calo di fatturato non è legato alla disaffezione del paziente omeopatico, ma riguarda il nuovo processo di registrazione dei farmaci. Con meno farmaci in commercio è fisiologica una diminuzione del fatturato.

In cosa consiste il nuovo processo di registrazione?

Dobbiamo fare un passo indietro, al 2006, quando l’Italia recepisce, con un decreto legislativo (219/2006), la direttiva che crea il Codice unico del farmaco. Si tratta di un decreto legislativo in cui sono contenute tutte le regole necessarie – questo dice l’Europa – sia per registrare sia per commercializzare tutte le categorie di farmaci.

In sintesi, sono state date delle regole.

Esatto. Per tutte le categorie di farmaci: gli allopatici, gli emoderivati, i chemioterapici, i radioterapici e gli omeopatici (passaggio, questo, che sottolinea con la voce ndr).
Grazie a questa nuova regolamentazione il prodotto omeopatico diventa un farmaco vero e proprio che, per poter essere commercializzato, deve passare al vaglio dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Si tratta di un provvedimento che l’Europa ha voluto per equiparare i mercati e per evitare situazioni di sleale concorrenza.

Perché reputa scorretti gli attacchi rivolti all’omeopatia?

Perché al mondo farmaceutico non piace la nostra presenza. Secondo loro non dobbiamo essere considerati farmaci, non dobbiamo vestirci con l’abito del farmaco.

Quanto personale occupa il comparto dell’omeopatia?

Parliamo di circa 4.000 occupati tra diretti e indotto. Una cifra dignitosa. Certo non abbiamo i numeri di altre realtà…

Ho notato che, nelle schede di presentazione riguardanti la vostra attività, preferite parlare dei dati di sell-out. A quanto ammonta il volume delle vendite?

Bravo. Preferiamo indicare la cifra relativa ai prodotti venduti dalle farmacie, d’altra parte siamo farmaci…
Il sell-out (vendita dal farmacista al paziente ndr) si attesta intorno ai 260/270 milioni di euro.

Glielo chiedo in modo molto diretto: a quanto ammonta il calo del fatturato negli ultimi anni?

6/7%, legato, come spiegavo, al processo di registrazione.

Quante aziende, in Italia, fanno parte dell’industria omeopatica?

Operano circa una ventina di aziende. Guna, per esempio, è leader del settore.

Peraltro, mi corregga se sbaglio, con dei limiti rispetto all’esportazione dei prodotti.

Non sbaglia, perché senza l’Aic (Autorizzazione all’immissione in commercio ndr) sul medicinale era impossibile andare all’estero. L’export rappresenta, oggi, la grande sfida di questo settore.

Volevo farle una domanda riguardante un recente reportage di SkyTg24 [3] sull’omeopatia. Non è rimasto stupito dall’affermazione della signora intervistata che dice alla giornalista: «Sì, ne sono consapevole che qui dentro non c’è niente (riferito ai rimedi omeopatici assunti in famiglia, ndr), però io non posso non prendere atto del fatto che, ok, non ci sarà niente, ma questo niente funziona»? Non la legge come una suggestione?

Lei avrà capito che l’omeopatia è un tema molto divisivo. Dal punto di vista politico e istituzionale. Tutto questo rumore nasce dallo “scontro” con la cosiddetta medicina convenzionale (che nasce, mi ascolti bene, da una “con-ven-zio-ne”).

Sì, ma la medicina ufficiale si è data un metodo empirico, dei test, degli esperimenti, verifiche di laboratorio, poggiando tutto il suo sapere su rigorose basi scientifiche…

Oggi si dice che la medicina omeopatica non è scientifica quindi inadatta a curare. Falso.
Prima di tutto, fatta questa premessa, è sbagliato dire che si tratta di acqua fresca…

Perché, non lo è?

Mi ascolti. Non è acqua fresca perché il 70% dei medicinali omeopatici in commercio, quindi i 7/10, contengono principio attivo, quindi non è acqua fresca.

Significa che il restante 30% lo è. Aggiungerei anche mediamente costosa.

Mi faccia spiegare, però, come si arriva alla diluizione.
Prendiamo, solo per fare un esempio, dell’estratto di arnica. Estratto che inserisco in 99 parti di acqua: questa è la 1CH 1%. Successivamente, una parte dalla 1 CH si diluisce in 99 parti di acqua e così via. Fino alla 6 CH, il principio attivo di arnica è presente. In commercio, lo ripeto, il 70% dei prodotti omeopatici contiene diluizioni inferiori alla 6 CH.

Bene, ma i prodotti in commercio sopra questa diluizione?

Il principio attivo non c’è più, non è più riscontrabile.

Quindi, di fatto, rimedi inutili.

Non è così. Il dato che la scienza non guarda mai sono i 10 milioni di italiani, escludiamo pure dal conteggio l’Europa, come la biologa intervistata da SkyTg24. Cittadini che utilizzano dei medicinali omeopatici e ottengono risultati. Il dato evidente è questo.

Se fosse tutto così semplice e scontato, perché la scienza ufficiale continua ad attaccarvi con tanta decisione?

La scienza non mette in discussione il risultato, vuole esclusivamente una spiegazione per capire come questa circostanza si sia concretizzata.

A me sembra una richiesta normale, a lei no? Anche alla luce di quanto riporta l’Aifa, sul proprio sito ufficiale, proprio per quanto concerne i medicinali omeopatici [4].

Il nocciolo del problema è proprio in quelle righe…
Prima della direttiva europea il medicinale restava sul mercato in virtù di una notifica, con il vincolo però per le aziende di non poter immettere sul mercato nuovi farmici. Non si poteva fare nulla.
Grazie alla direttiva, i prodotti in vendita nelle farmacie devono essere registrati. Questi prodotti sono considerati a tutti gli effetti dei farmaci.

Non ha ancora risposto però.

La premessa era necessaria. Tenga presente che alcuni medicinali omeopatici sono sul mercato da quarant’anni anni e vanno registrati. In questa fase le aziende hanno fatto delle scelte e per alcuni prodotti, meno convenienti, non è stata inoltrata richiesta all’Aifa.

Sono stati tolti dal mercato?

Sì, perché la registrazione comporta dei costi.

Ma che caratteristiche ha la registrazione per i prodotti omeopatici?

Si tratta di farmaci registrati in via semplificata con tariffa concordata.

Un atto che profuma di sanatoria…

Sostanzialmente sì, da integrare con la presentazione di un dossier semplificato in cui, dice la legge, le indicazioni terapeutiche non possono essere inserite.
Ora è possibile farlo, ma, al momento, non sono ancora state stabilite le norme specifiche per l’omeopatico riguardanti le prove precliniche e cliniche.

Le aziende omeopatiche stanno operando per chiudere questo “buco informativo”, soprattutto allo scopo di fornire maggiore trasparenza?

No, ancora no. Dobbiamo prima chiudere la fase di registrazione iniziata nel 2017.
Ad Aifa sono giunti 3.700 dossier e ne sono stati verificati poco più di mille. Non è una cosa semplice perché noi dobbiamo dimostrare tutto: la qualità, le materie prime, la sicurezza, la tossicologia. L’unica cosa che non si dimostra, ma solo per i prodotti in commercio da 40 anni, sono le prove precliniche e cliniche, cioè l’efficacia terapeutica.

Allora siamo punto e a capo.

Prima non lo potevo fare, siamo sempre lì. Ora, per i nuovi prodotti da lanciare sul mercato, l’azienda potrà scegliere tra la registrazione semplificata…

No, mi scusi se la interrompo, ma è necessario. Perché non evitate fraintendimenti eliminando questa possibilità? Rinunciate alla registrazione semplificata e portate a conoscenza degli utilizzatori l’efficacia dei prodotti in commercio attraverso dossier scientificamente rigorosi. Non sarebbe meglio?

Perché sono scelte dell’azienda legate ad alcune caratteristiche dei prodotti.
In Guna, per esempio, si omeopatizzano citochine, ormoni, interleuchine, catalizzatori del ciclo di Krebs, cioè, sono sostanze biologiche. Per registrare questo tipo di prodotti, per forza, devo chiedere la non semplificata, fornendo, di fatto, più garanzie.

A maggior ragione, e mi ripeto, perché non togliete ogni dubbio fornendo garanzie e informazioni più capillari su tutti i prodotti?

Noi non faremo mai le prove come le vuole Roberto Burioni, persona che, peraltro, stimo e seguo su alcune sue battaglie come, per esempio, quella sulle politiche vaccinali.
D’altra parte, non posso registrare – come suggerisce anche Aifa – un medicinale omeopatico come si registra un allopatico. Perché bisogna accomunare le due cose?

Forse per fare chiarezza?

Mi scusi: lei sa perché in Francia, in Germania, in Svizzera, in Inghilterra hanno le indicazioni terapeutiche?

Perché?

Perché la possibilità di fare studi preclinici e clinici è stata adattata al medicinale omeopatico. Stop, punto. Il medicinale omeopatico è un’altra cosa. Io chiedo alla medicina tradizionale: possiamo stabilire delle norme sulla base delle quali si considera però la specificità del medicinale omeopatico? Se il medicinale omeopatico è un’altra cosa ci devono essere delle regole diverse.
(1 – Continua)

note:

[1] Sondaggio commissionato nel 2018 da Omeoimprese a Emg-Acqua

[2] Giovanni Gorga ricopre anche il ruolo di direttore Affari istituzionali di Guna, azienda leader nel settore omeopatico.

[3] “Nel nome della scienza”, Reportage a cura della redazione di SkyTg24

[4] https://www.aifa.gov.it/web/guest/medicinali-omeopatici

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