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Interviste

Omeopatia (2), oltre la scienza

Il nostro incontro parte dalla pubblicazione del sito “No-omeopatia”, iniziativa promossa dall’imprenditore della sanità, Nicola Bedin (sostenuta da 57 tra ospedali, ambulatori, fondazioni e società scientifiche etc.), e si chiude con una valutazione storica sull’intuizione di Samuel Hahnemann.
Il viaggio di Orwell nel mondo dell’omeopatia affronta con Giovanni Gorga, presidente di Omeoimprese, anche dolorosi fatti di cronaca, le polemiche riguardanti gli interessi economici che gravitano intorno alla diffusione dei rimedi omeopatici e l’acceso dibattito scaturito dopo la pubblicazione di un comunicato…

Visto che ieri ha citato un noto virologo, non proprio in linea con le vostre tesi, Burioni, è forse arrivato il momento di toccare il punctum dolens. Che cosa pensa dell’iniziativa dell’imprenditore Nicola Bedin sfociata nella pubblicazione online del sito “No omeopatia”?

Io penso che sia solo un’operazione di tipo economico. Non si è mai visto che un imprenditore della sanità intervenga in un dibattito cosiddetto scientifico – almeno tale dovrebbe essere -, in modo così pesante.

Lei dice che si tratta di un’operazione di tipo economico, però l’iniziativa è sostenuta da ospedali, ambulatori, fondazioni e società scientifiche…

Alcune strutture che hanno aderito sono realtà in cui lui ha delle partecipazioni o degli interessi. Tutto lecito e trasparente, sia chiaro. Sono interessi legittimi che si sommano.

Un commento, il suo, di una certa importanza…

Ognuno ha le proprie spinte motivazionali.

Anche voi lo fate per business, non certo per filantropia.

Noi non abbiamo fatturati miliardari. Quella contro di noi è una battaglia di delegittimazione che parte da lontano. I 270 milioni di euro di sell-out, di cui parlavamo, rappresentano l’1% del fatturato farmaceutico italiano. Dà fastidio che il farmaco omeopatico sia assurto alla dignità di farmaco tradizionale. Parte del mondo farmaceutico non l’accetta. Soprattutto, quello legato a doppio mandato alla ricerca scientifica – tutte cose legittime, per carità, trasparenti -, ai finanziamenti alla ricerca, alle cliniche universitarie. Un mondo a noi sconosciuto.

Forse è stato anche un vostro errore di valutazione.

Certo, ma non sarebbe corretto da parte mia giudicare il passato. Tenga presente che l’omeopatia ha sempre vissuto per conto proprio. Un mondo a parte.

Riassumiamo: il rimedio omeopatico, a suo dire, è efficace, costa meno ed è un settore con pazienti affezionati. Seguendo il suo ragionamento, perché una grande azienda farmaceutica, alla luce degli investimenti significativi, non si lancia nella produzione della versione omeopatica dei prodotti più noti e utilizzati? Perché non lo fa? Solo a causa del basso fatturato oppure perché si tratta di rimedi inefficaci?

Semplicemente perché è un mercato poco appetibile, dove non ci sono grandi numeri. La verità sta tutti qui. I nostri erano mercati capaci di convivere serenamente. Per una parte del mondo farmaceutico, però, la nostra è stata considerata un’invasione di campo. Mi permetta una precisazione.
Tenga presente – è importante – che le nostre aziende non possono sostenere, per la ricerca, gli identici investimenti delle grandi case farmaceutiche.

Involontariamente ha anticipato una mia domanda: un’azienda omeopatica, quanto investe in ricerca rispetto al fatturato?

Guna, che è la maggiore, fattura meno di 55 milioni di euro. L’investimento per la ricerca è di circa il 20% del fatturato.

Torniamo, mi scusi, all’efficacia dei rimedi omeopatici. La stessa Fiamo (Federazioni italiana associazioni e medici omeopati ndr) si esprime con molta cautela: infatti, parla di studi non convincenti, di efficacia pari all’effetto placebo o di necessità di nuovi studi che è un modo gentile per dire “prendiamo tempo”.

Non sono un medico e non trovo corretto parlarne. Le posso dire, però, che SkyTg24 ha offerto ai telespettatori una risposta parziale. Le garantisco che all’interno dello stesso portale può trovare documenti capaci di attestare il contrario. Guna, per esempio, pubblica un volume in cui sono riassunte le prove scientifiche dell’efficacia della medicina omeopatica (“Low dose medicine. Omeopatia, le prove scientifiche” ndr).

Tra i sostenitori dei rimedi omeopatici, comunque, vantate anche un premio Nobel del calibro di Luc Montagnier.

Lo dicevo proprio al professor Burioni. Non credo che Montagnier sia diventato improvvisamente un cretino solo perché sostiene l’omeopatia.

Rita Levi Montalcini sosteneva, invece, che l’omeopatia è una “non cura”. Con l’aggravante, come se non bastasse, di essere anche potenzialmente pericolosa perché sottrae i pazienti a cure valide. La mente corre rapidamente a recenti casi di cronaca che hanno registrato, purtroppo, il decesso di due bambini curati con rimedi omeopatici. Cosa le hanno suggerito queste disgrazie?

La ringrazio per la domanda perché mi dà l’opportunità per un altro chiarimento.
Si gioca molto su questa questione e non sto parlando, ovviamente, del caso specifico.
Intanto, contrariamente a quanto scrivono alcuni, non si tratta di medicina alternativa ma, al massimo, di medicina complementare o integrata. Le ricordo che Fiamo, di cui parlavamo prima, è una realtà accreditata al Ministero della Salute.
Fatta la doverosa puntualizzazione, le rispondo dicendo che solo il medico, in scienza e coscienza, deve stabilire lo strumento idoneo per la cura di una malattia. In questi casi, l’errore è da attribuire ai medici.

Così, però, appare più che altro uno scarico di responsabilità.

Assolutamente no. Quanti pazienti hanno subito gravi o gravissimi danni, involontari, per carità, causati da medici? Non è stata l’omeopatia a uccidere, ma l’errore di valutazione da parte del medico. Non si può condannare un’intera disciplina per la negligenza di pochi.

Torniamo nuovamente, però, al nocciolo del problema: l’efficacia dei rimedi omeopatici. Gli antibiotici avrebbero, senza dubbio alcuno, risolto sia le infezioni sia forti infiammazioni.

Perché non sa quante otiti sono state curate con i farmaci omeopatici (nel frattempo, mi porge un questionario, sempre commissionato Emg Acqua, in cui si evince che i problemi curati più frequentemente sono i raffreddori/influenze, quasi il 60%, e patologie articolari/muscolari, 26%. Il dato relativo all’otite non è citato. Ignota, anche, la percentuale di successo grazie alla cura, ndr).

Dell’omeopatia l’Ordine dei medici dice che «Allo stato attuale non ci sono prove scientifiche né plausibilità biologica che dimostrino la fondatezza delle teorie omeopatiche secondo i canoni classici della ricerca scientifica». Che cosa risponde?

Rispondo che l’omeopata è un medico. E aggiungo che nel 2012 la conferenza Stato-regioni ha stabilito che gli ordini hanno l’obbligo per legge di aprire il registro per le medicine complementari. L’omeopata, per potersi registrare, deve aver frequentato un percorso di studio, pratico e teorico, di almeno quattro anni, in una scuola accreditata dalla Regione.
Capirà, dunque, che la posizione della Fnomceo è un po’ ambigua. A tal proposito, le anticipo che le società scientifiche stanno prendendo posizione, e quella pagina (dove è presente la nota riportata nella domanda ndr) verrà modificata. Glielo posso garantire.

Non crede che alimentare la polemica sia anche uno strumento molto efficace per farsi pubblicità gratuita?

Negli ultimi tempi siamo oggetto di una campagna tesa a delegittimare il nostro operato.
Se mi permette una battuta, per dirla con Oscar Wilde, «Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli».
Tornando seri, le nostre aziende, come saprà, non possono fare pubblicità. In Italia, infatti, l’assenza d’indicazioni terapeutiche all’interno del prodotto vieta la possibilità di promuovere i farmaci direttamente al pubblico. Tuttavia, sia il medico che prescrive un prodotto sia il farmacista, che lo vende, conoscono perfettamente le indicazioni terapeutiche.

Se l’Ordine dei medici italiani ha preso un po’ le distanze dai rimedi omeopatici, in Europa le cose non vanno certo meglio. Molte, per esempio, le critiche sollevate dai medici inglesi, per non parlare poi di quelli spagnoli. Nel frattempo, il governo francese ha annunciato che entro il 2022 i farmaci omeopatici non saranno più rimborsati. Negli Stati Uniti, dal 2016, i prodotti devono riportare sull’etichetta che “non esiste evidenza dell’efficacia”.

Guardi, si tratta di un processo di regolamentazione che esiste in tutta Europa e sta lasciando, inutile negarlo, degli strascichi. Questi sono i frutti della ribellione di una parte del mondo scientifico, farmaceutico e della ricerca.
È vero, come dice lei, che in Francia sarà negato il rimborso (era al 30%), ma in Germania, dove si era aperto lo stesso dibattito, è stato invece confermato. Però nessuno lo dice.

Parliamo dei soldi pubblici legati ai rimborsi al cittadino dei prodotti omeopatici. Nel servizio di SkyTg24 si parla di 50 milioni di euro.

Due cose: la prima è che si tratta di farmaci, e come tutti i farmaci gode della detraibilità fiscale al 19%. La seconda riguarda, invece, l’informazione-bufala riportata da Sky.

In che senso bufala?

Non esiste nessuna rispondenza. Quella cifra è esagerata perché non tutti coloro che acquistano prodotti omeopatici poi consegnano il proprio codice fiscale per farsi rilasciare lo scontrino utile per la dichiarazione dei redditi. Per me è realistica una cifra oscillante tra i 15/20 milioni. Cifra, però, compensata da quanto le aziende versano allo Stato sotto forma di tasse e tributi vari.

Le faccio un’ultima domanda. Lei crede davvero all’efficacia dell’omeopatia e all’intuizione, al limite del rito magico, di Samuel Hahnemann?

All’epoca fu certamente una grande intuizione. Lei, però, me lo chiede oggi dopo 200 anni. Di strada, l’omeopatia, ne ha percorsa parecchia. Gli utilizzatori sono tantissimi, in crescita ovunque, non solo in Italia. Come i farmaci tradizionali anche la medicina omeopatica si è evoluta, purtroppo, una parte del mondo scientifico, farmaceutico e della ricerca non vuole ammettere questo sviluppo.
(2 – Fine)

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