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Interviste

Doping e sport (6): alcuni casi celebri

“L’umorismo non è rassegnato ma ribelle, rappresenta il trionfo non solo dell’Io, ma anche del principio del piacere, che qui sa affermarsi contro le avversità delle circostanze reali”.
A Freud, probabilmente, più o meno inconsapevolmente, devono aver pensato gli avvocati coinvolti, tramite i loro assistiti, in alcuni celebri casi di doping.

Come difendere l’indifendibile? Quali scuse addurre davanti alla procura per giustificare la presenza di sostanze proibite nelle urine e salvare quindi l’atleta da una sospensione per doping?

Analizzando alcuni casi famosi, ci siamo imbattuti in ghiribizzi dialettici, assurdità e stramberie di ogni tipo capaci, però, di strappare almeno qualche sorriso.

Sembra di vederli, travestiti da Jake-John Belushi, mentre imploranti si rivolgono alla corte: “Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C’era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!”.

UN CALCIO AL BUONSENSO

Senza dimenticare sport altrettanto nobili, arbitrariamente, decidiamo di partire dal gioco più popolare in Italia: il calcio.
Per maggiore precisione da Andrea Da Rold (tesserato del Pescara), che verrà ricordato nella storia del football nostrano per essere stato il primo giocatore (settembre 2000) trovato positivo al nandrolone.

Un certo scalpore, soprattutto per la fama del protagonista, scatenò la positività di Edgar Davids, famoso “pitbull” del centrocampo, ammirato in Italia con le maglie di Milan, Juventus e Inter.
Davids è stato sospeso per cinque mesi, nel 2001 (insieme a Stefano Torrisi del Parma), a causa di uno steroide anabolizzante presente nelle sue urine, a suo dire, per l’utilizzo d’integratori omeopatici contro la tosse.
Le motivazioni della sentenza giustificano la blanda punizione perché si trattava di «doping non intenzionale» e di un «esiguo superamento» del limite consentito.

Colpa di uno shampoo fortificante, invece, la positività al nandrolone riscontrata, sempre nel 2001, al calciatore Fernando Couto, «Con la chioma che ho io – si giustificò – devo usarne molto». Come dargli torto?

Nella stagione 2000-01, l’abbuffata di cinghiale (speziato al nandrolone) è stata fatale per i calciatori Cristian Bucchi e Salvatore Monaco del Perugia (otto mesi di squalifica).
Pep Guardiola, oggi tra i migliori allenatori al mondo, invece, preferiva il manzo (quattro mesi di stop ai tempi del Brescia e primo calciatore punito penalmente dopo l’entrata in vigore della legge 376/2000 che ha trasformato il doping in reato).
In seguito, il calciatore fu assolto (2007), e nel 2009 anche la Corte federale della Figc decise di cancellare ogni accusa e riconsegnare dignità sportiva al calciatore catalano.

Alla Compagnia del Nandrolone si sono iscritti anche Stefano Sacchetti e Nicola Caccia del Piacenza, Francois Gillet del Bari, Jaap Stam della Lazio, Manuele Blasi del Parma (per colpa di uno schiarente per i capelli…), Saadi Al Gheddafi del Perugia e Mohammed Kallon dell’Inter (maledetta acne…!).

Ogni sportivo sa che l’alimentazione riveste un ruolo decisivo. La quantità di “carburante” da mettere nel motore non dovrebbe mai superare la soglia utile sufficiente per soddisfare il lavoro da svolgere sul campo d’allenamento e in gara.
Eppure, uno strappo alla regola ogni tanto…

Antonio Cassano, per esempio, ha candidamente ammesso di non saper resistere al gorgonzola, mentre Angelo Peruzzi e il compagno Andrea Carnevale della Roma, alle fettuccine. Piatti insaporiti con il Lipopill, un prodotto a base di fentermina capace di calmare l’appetito, ma anche di agire su concentrazione e forza fisica.

Le bugie, però, hanno le gambe corte. Cortissime se utilizzate per difendersi maldestramente con la giustizia sportiva perché, in realtà, non ci fu nessuna cena né tantomeno tardivo rimorso per l’abuso di cibo.

È lo stesso Peruzzi, nel 2005 a fare chiarezza (quindici anni dopo il “pasticciaccio” post Roma-Bari del 23 settembre 1990): «È stato un momento brutto – ricorda l’ex portiere giallorosso all’emittente televisiva Roma Uno -. Fui etichettato come un drogato. A me e a Carnevale diedero un anno, non perché meritassimo una tale squalifica, ma perché sia io, sia il mio compagno di squadra e il presidente Viola, raccontammo moltissime bugie su questa vicenda. La storia, infatti, è completamente diversa dalla versione che fornimmo inizialmente, tanto ormai è andato tutto in prescrizione…
Non ci fu alcuna cena al termine della quale mia madre mi diede quella pasticca (questa fu la versione ufficiale, ndr). La pasticca me la diede invece un giocatore. Io venivo da un infortunio e mi venne detto che, prendendola, non mi sarei rifatto male. Fui ingenuo e stupido a crederlo e per questo meritai la squalifica. Ma mia madre non c’entrava nulla. Mi dissero di dire così, anche se non volevo che fosse tirata in ballo la mia famiglia. Accettai perché non contavo ancora niente all’ epoca. Meglio bruciare un ragazzino piuttosto che un giocatore affermato. Credo che alte sfere della Federazione consigliarono questa versione al presidente Viola, sostenendo che così avrei avuto soltanto tre mesi di qualifica, ma andò diversamente. Aspettavano quel momento per massacrare Viola».
[1]

Dichiarazioni che, per restare in tema culinario, Carnevale non ha granché digerito. Un po’, evidentemente, come la cena mai consumata.
«Era meglio evitare – ha commentato l’ex attaccante della nazionale a Radio Radio – di tornare 15 anni dopo su questa storia che è passata. Mi è dispiaciuto leggere queste cose perché mi hanno riportato alla memoria quel che successe: sembravamo due killer del doping, in quel periodo. Si poteva evitare di dire che quelle pillole ce le aveva date un calciatore. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità».[2]
«…un gran salotto, 23 mulatte danzan come matte, casa di piaceri per stranieri 130 chili, splendida regina, rum e cocaina za’ za’…».

LA COCAINA AVANZA

Nelle note allegre di “Maracaibo”, cruda metafora del giocoso triangolo alcol-donne-cocaina, si annida, purtroppo, il dramma di molti sportivi.
È soprattutto la “polvere bianca” a mietere vittime illustri, spezzando, con noncurante costanza, brillanti carriere. Vite consumate dalla droga e talenti smarriti: una miscela micidiale capace di unire, come uno sciagurato magnete, ricchezza, depressione, noia, vassoi d’argento, banconote arrotolate e anonimi bagni di camere d’albergo.

Tra i calciatori sacrificati sull’altare della coca ricordiamo il più grande di tutti, Diego Armando Maradona (sniffatore incallito già dai tempi del Barcellona).

Paradossalmente, inizierà la sua parabola discendente ai mondiali del ’94, non per colpa della droga, ma per un mix di farmaci a base di efedrina, una sostanza stimolante vietata ndr); Adrian Mutu (risultato positivo alla cocaina ai tempi della sua militanza nel Chelsea, circostanza che gli procurò anche un risarcimento piuttosto salato di ben 17 milioni di euro); Jardel (un’anonima stagione in Italia all’Ancona, noto per “pippare” solo d’estate per evitare i controlli dell’antidoping); Claudio Caniggia (rapido attaccante dalla bionda chioma, amato dai tifosi – ma specialmente dalle tifose – di Roma e Atalanta); Francesco Flachi (genio – e soprattutto sregolatezza – di Fiorentina e Sampdoria); Renè Higuita (può capitare frequentando professionisti del settore tipo Pablo Escobar).
La lista, giusto per citarne altri, prosegue con Mark Iuliano, Wim Kieft, Sebastiano Rossi, Walter Casagrande, “Pato” Aguilera, Jonathan Bachini, Angelo Pagotto e Moris Carrozzieri.

Alla tentazione della cocaina non hanno saputo resistere i tennisti Vitas Gerulaitis, Mats Wilander, Bjorn Borg e Martina Hingis, la medaglia d’oro di salto in alto a Barcellona ’92, Javier Sotomayor, il rugbista Pieter de Villiers (risultato poi invalidato per un vizio di forma), il pugile Mike Tyson, il ciclista Tom Boonen e il “pirata” Marco Pantani [3].

Tra i pochi a salvarsi dalla tenaglia dell’antidoping è stato, negli ultimi anni, Richard Gasquet.
Accusato e poi prosciolto dal Tas dall’accusa di aver assunto cocaina; galeotte furono le effusioni particolarmente audaci e sbrigativamente consumate, in un night club di Miami, dal tennista francese con una “panterona drogata”.[4]

DUE RUOTE E UNA SIRINGA

Per segnalare i numerosi casi di doping nel ciclismo non basta certo un articolo di sintesi.
Ci facciamo aiutare, allora, dalle immagini di un film e da una testimonianza, cruda, raccolta nelle pagine di un libro.

Adoperandoci con un forzato parallelismo, se il ciclismo è sinonimo di fatica, Lance Armstrong ha rappresentato, per le due ruote, sia la visionaria luce del trionfo, invocata da William Blake, sia il buio della vergogna e della cupa solitudine dipinta invece da Caspar David Friedrich.

Il dramma di tanta assurdità e la sua teatrale tragicità, sono condensati nel film “The Program” di Stephen Frears, tratto dal libro di David Welsh, il giornalista testimone delle vicende che hanno visto protagonista il campione americano Lance Armstrong.
Al lungometraggio non manca nulla: mito, fatica, invidia, imbrogli, doping, omertà, malattia, caduta, rinascita e confessione.
Difetta, certo, del pragmatismo su cui è costruito “Armstrong Lie”, il documentario di Alex Gibney (che, sostanzialmente, ripercorre gli stessi passaggi), ma ha il merito di scolpire con maggior attenzione la figura contraddittoria di Armstrong.

A Danilo Di Luca, il primo ciclista italiano radiato per doping (Cera e Epo ndr), va invece ascritto il “dono” di non ripararsi dietro a un dito: «Ho vinto delle gare senza doping ma non erano molto importanti, per vincere le grandi gare devi per forza “curarti”».[5]
Le sue verità sono raccontate nel libro “Bestie da vittoria”.

NANDROLONE A LUCI ROSSE

Tuttavia, è il “nandrolone hot” quello di cui ci piace parlare.
Qui monta (perdonerete il termine) pure una certa invidia se il pensiero corre sbarazzino alle notti infuocate tra Belen e Marco Borriello, trovato, ai tempi del Milan, positivo a due corticosteroidi (prednisone e prednisolone, analoghi del cortisone ndr).
In soccorso (parziale) del rossonero giunse l’accorata confessione della showgirl argentina che avrebbe giustificato la positività del compagno con l’assunzione, prescritta dal medico, di una pomata intima a causa di una fastidiosa infezione vaginale.

Lo diciamo per i più maliziosi: in casi come questo la positività è un’eventualità tutt’altro che remota…

Un altro rapporto orale (avuto con il preparatore-fidanzato sul finire degli anni ‘90) costò quasi la squalifica alla bi-campionessa olimpica di mountain bike, Paola Pezzo.
Situazione simile per il focoso Daniel Plaza, marciatore spagnolo, coinvolto – cercò di giustificarsi – in una maratona di sesso orale con la moglie incinta.[6]

Tra gli infiniti casi di positività al nandrolone, la Palma d’oro andrebbe comunque assegnata al tennista ceco Petr Korda che giustificò i risultati sballati dei test con l’assunzione di una bistecca di vitello allevato con anabolizzanti. Gli fu contestato che “per giustificare la quantità di nandrolone trovatagli nel sangue avrebbe dovuto mangiare 40 vitelli al giorno per 20 anni”.[7]

L’Oscar al genio o forse alla sfortuna, invece, vorremmo fosse consegnato al cestista americano, D.J. Cooper.

Nel goffo tentativo di aggirare i controlli (probabilmente sfruttando la disattenzione del medico prelevatore), Cooper ha provato a scambiare la sua urina con quella di un’amica, che, a insaputa di entrambi, era incinta.
L’ormone della gravidanza (hCG), non presente nell’urina maschile in condizioni fisiologiche, rientra però fra le sostanze vietate per doping.
Risultato? L’atleta è giudicato positivo e la storia dello scambio di urina viene fuori: due anni di stop e una pesante sanzione amministrativa per il primo giocatore di pallacanestro risultato “incinto” al test antidoping…

ATTENTI ALLA TAVOLA

Come abbiamo visto, il cibo rappresenta un paravento molto utilizzato dagli atleti in caso di riscontrata positività.
Ne sa qualcosa una delle migliori tenniste italiane di sempre, Sara Errani, fermata 10 mesi per colpa del letrozolo, inibitore dell’aromatasi, un farmaco assunto dalla mamma dell’atleta.

Errani, che si è sempre dichiarata innocente, ha impostato la linea difensiva sull’involontarietà dell’assunzione, derubricando l’accaduto a una sorta d’incidente domestico. Il farmaco si sarebbe trovato accidentalmente sul tavolo da lavoro su cui la signora Fulvia (la mamma) stava preparando i tortellini. Circostanza che avrebbe spiegato la contaminazione del piatto e quindi la successiva positività dell’atleta.

Recentemente, lo ricordiamo per correttezza, il Gip di Ravenna ha chiesto l’archiviazione per la Errani. La tennista non subirà alcun processo nonostante la versione sull’accidentalità dell’assunzione sia stata ritenuta “inverosimile” dal pm Cristina D’Aniello.
Però, in assenza di prove certe sulla volontarietà di assumere il letrozolo, è stato proprio lo stesso Pm, lo scorso giugno, a presentare richiesta di archiviazione.

Per quanto riguarda Alex Schwazer, invece, vi consigliamo una cosa: continuate a seguirci.

P.S. – Il 18 luglio 2007, alla presenza di numerose personalità della politica e dello sport – tra cui l’allora presidente del Coni, Gianni Petrucci -, è stato inaugurato il nuovo laboratorio antidoping della Federazione medico sportiva italiana. Per l’occasione gli scatti dei fotografi hanno immortalato il campione del nuoto azzurro, Filippo Magnini, testimonialper l’occasione, impegnato durante il rituale taglio del nastro.[8]
Poco più di un anno fa, Magnini, ha subito una squalifica a 4 anni per tentato uso di sostanze dopanti. Sanzione poi confermata dal Tribunale nazionale d’appello la scorsa primavera.
Quando si dice il karma…

(6 – Continua)

Note:

[1] Archivio storico Gazzetta dello Sport
[2] Redazione, “Calcio, Carnevale: Peruzzi non doveva riparlare del Lipopill”, la Repubblica
[3] Redazione, “Sport e cocaina: dai campioni del calcio a quelli di boxe, atletica e ciclismo”, Corriere.it
[4] Gianni Clerici, “Gasquet, campione mancato. Quel bacio alla cocaina”, la Repubblica
[5] Simone Zizzari, “Danilo Di Luca: Vincere il Giro senza doparsi è impossibile”, Corrieredellosport.it
[6] Paolo Ziliani per “Il Fatto Quotidiano”
[7] Paolo Ziliani per “Il Fatto Quotidiano”
[8] “Inaugurato il nuovo Laboratorio Antidoping”, www.coni.it

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