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Sei mesi cruciali per le startup

La Pandemia globale da COVID-19 ha radicalmente modificato moltissimi settori dell’economia globale e il mondo delle startup non fa certo eccezione.

Nuovi imprenditori di tutto il mondo stanno per affrontare una situazione completamente nuova e una ricerca condotta dal team della prestigiosa fiera internazionale SLUSH, che si tiene ogni anno a Helsinki, mette in evidenza quali saranno le preoccupazioni più imminenti delle tante startup sparse per il globo.

Il 41% delle startup intervistate – tra cui anche Orwell, che ha partecipato alla scorsa edizione della fiera – ha visto diminuire le proprie possibilità di sopravvivenza (la cosiddetta runway) a causa della pandemia. Questo dato purtroppo significa che quasi la metà delle startup attualmente esistenti avrà grosse difficoltà nel mantenersi attiva e che i round del 2020 non daranno i risultati economici sperati in termini di investimenti.

Le startup hanno bisogno di liquidità

Solo l’8% delle startup ha dichiarato di non avere la necessità di reperire ulteriori fondi, mentre Il 35% di tutte le aziende e il 43% di quelle che stavano progettando un rilancio hanno ridimensionato o abbandonato i loro piani per Il 2020.

L’importanza delle relazioni già esistenti

Nel nuovo equilibrio che si è venuto a creare, quindi, la difficoltà di reperire nuovi fondi da parte degli imprenditori ci suggerisce che saranno le reti di contatti già costruite nel tempo ad avere un ruolo strategico nel reperimento di ulteriori risorse.

Infatti, dal canto loro, gli investitori prediligeranno tipologie di finanziamento follow on, il che significa che riverseranno le risorse disponibili in progetti che conoscono e che hanno già sovvenzionato in passato.

Ciò potrebbe significare che progetti totalmente nuovi avranno maggiori difficoltà a reperire venture capital.

Dal punto di vista del funzionamento interno, fortunatamente i dati sono più rassicuranti.

Assunzioni ferme, ma per ora pochi licenziamenti

Infatti, mentre da una parte, purtroppo, si sono fermate le nuove assunzioni, dall’altra il personale è stato mantenuto e solo una startup su sei ha dovuto effettuare licenziamenti, soprattutto nelle realtà più mature.

Lo smartworking? Un problema

Il lavoro da remoto è stato assimilato in modi diversi e dipende molto dal modello di startup, ma il dato che emerge dai report di SLUSH è che un terzo delle realtà intervistate ha riscontrato un peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti, un 7% ha visto un miglioramento, mentre per il restante 63% non si sono registrate differenze nel cosiddetto lavoro agile.

Il calo delle vendite e i nuovi business

Un dato critico arriva dalle vendite, poiché solo l’8% delle start-up non ha riscontrato alcun cambiamento, mentre per il resto la situazione si è dimostrata particolarmente difficile. Dal nuovo panorama emergono però dei casi virtuosi. Infatti le start-up B2C e le società D2C stanno facendo meglio di quelle che vendono B2B.

Il crollo delle vendite è guidato dalla difficoltà di attrarre nuovi clienti: il 63% delle startup ha registrato una riduzione in questo senso. D’altro canto, i clienti esistenti sono rimasti sostanzialmente stabili su tutta la linea, sebbene abbiano ridotto le loro spese.

Dal punto di vista degli investitori, le valutazioni sono molto più prudenti. Il 78% degli intervistati ha infatti dichiarato di aver spostato la propria attenzione verso le industrie che beneficiano della pandemia. Salute e benessere, istruzione ed e-commerce e mercati online sembrano essere i settori più promettenti.

Aspettando di poter tornare a essere ottimisti

In generale le startup hanno affrontato di petto la Pandemia senza lasciarsi scoraggiare dall’inevitabile contrazione del settore e questo lo dimostra l’ottimismo con cui l’intero settore osserva l’evolversi della situazione e risponde con azioni concrete.
In generale, le aziende hanno scelto di espandere e/o modificare la propria offerta di prodotti, soprattutto in quei settori con un calo significativo della domanda, come Internet di consumo, trasporti, mobilità e istruzione. Le più brave a fare questo sono state le attività più piccole, dotate di grande agilità.

Ci sarà da aspettare

Come ultimo dato è interessante guardare alle previsioni che investitori e imprenditori fanno circa la normalizzazione del settore: secondo la metà del campione il volume degli affari non si normalizzerà entro i prossimi 12 mesi, ma questo non significa certo che l’universo delle startup non sia pronto ad affrontare quello che le aspetta.
Solo il tempo ci dirà se questo ottimismo si rivelerà una scelta vincente anche se, per quanto riguarda l’Italia, una cosa è certa: visto e considerato che gli aiuti del governo rasentano lo zero, gli imprenditori alla guida delle startup potranno contare unicamente sulle loro forze.
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