Parlando dello sviluppo tecnologico della Cina (pre coronavirus…), molti economisti elogiavano i forti investimenti nel settore dell’innovazione e le politiche per attirare investimenti stranieri. Nonostante la verità di queste affermazioni, dietro l’avanzata cinese si nascondono anche drammi come lo sfruttamento del lavoro ai danni della minoranza Uiguri.
Gli Uiguri sono un’etnia turcofona, di religione islamica, che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang e, secondo uno studio dell’Australian Strategic Policy Institute (Aspi), tra il 2017 e il 2019 almeno 80mila di loro sarebbero stati letteralmente ridotti in schiavitù da imprese fornitrici di multinazionali tecnologiche.
Tra le aziende che avrebbero sfruttato il lavoro di queste popolazioni ci sarebbero anche società americane, come Apple, che avrebbe stipulato un contratto con la ditta BOE per la produzione di schermi LCD per dispositivi MacBook e iPad. Ma anche Samsung, Nokia e Microsoft.
Dal rapporto emerge che da parte del governo di Pechino c’è stata una vera e propria deportazione di ottantamila lavoratori dalla provincia dello Xinjiang, verso fabbriche sparse su tutto il territorio dove sarebbero impiegati in condizioni inumane – come denunciato dal rapporto.
Non solo i lavoratori sarebbero sottopagati, ma sarebbero reclusi, senza la possibilità di uscire in veri e propri campi di lavoro dove le guardie controllano costantemente la loro vita.
Addirittura, alcuni sarebbero stati internati in centri di detenzione e costretti a lavorare per conto di imprese private. Gli Uiguri (come altre minoranze religiose, quali: i tibetani o i cristiani) da anni subiscono atti repressivi da parte del regime comunista che li considera oppositori per il solo fatto che mantengono la loro Fede.
Naturalmente, oltre alle multinazionali della tecnologia, anche altre imprese “globali” come Nike (cliente della Taekwang) e Volkswagen si sarebbero avvalse della manodopera sfruttata e oppressa.
Dal 2017 al 2019 più di 83 marchi internazionali avrebbero impiegato lavoratori uiguri inseriti nei programmi governativi di trasferimento forzato e collocati in 27 fabbriche.
Dopo questa denuncia, Apple – che già a settembre era stata accusata dalla Ong China Labor Watch (CLW) di aver violato le leggi sul lavoro ai danni di operai cinesi – ha dichiarato di «impegnarsi a garantire il pieno rispetto della dignità delle persone che operano». Queste nuove accuse sono però molto più gravi dato che lo sfruttamento avviene con l’avallo del governo.
Come al solito ci si limita solo a belle parole, come quelle del Parlamento europeo che, lo scorso dicembre, ha approvato una risoluzione per chiudere i campi in cui sono internati gli Uiguri. Nella realtà dei fatti, però, nessuna multinazionale ha annunciato il suo ritiro dalla Cina o la rinuncia ai prodotti realizzati in quegli stabilimenti.