Facebook e Instagram sono costruite per creare dipendenza, soprattutto tra i bambini. Gli algoritmi come la nicotina, insomma. Questo il concetto che sta alla base dell’azione intrapresa negli Stati Uniti da un gruppo bipartisan composto da 42 procuratori generali, che hanno citato in giudizio Meta.
Prima considerazione: il sostegno di così tanti procuratori di entrambi i partiti (15 repubblicani e 18 democratici) è indicativo rispetto alla battaglia legale che gli USA intendono portare avanti nei confronti delle piattaforme social, TikTok compresa.
Infatti, non è un mistero che, in caso di successo, le azioni legali degli Stati potrebbero costringere Meta a cambiare il modo in cui progetta e commercializza le sue piattaforme al pubblico, oltre che a pagare pesanti multe.
La strategia legale ha utilizzato spesso il paragone con le varie cause legali intentate negli anni ’90 contro l’industria del tabacco, che fu costretta a pagare sanzioni per centinaia di miliardi e che cambiarono radicalmente le modalità di commercializzazione di sigarette e affini. Un esempio su tutti: le sponsorizzazioni in Formula 1.
«Ci rifiutiamo di permettere a Meta di promuovere i suoi prodotti e aumentare i suoi profitti calpestando la salute mentale e fisica dei nostri figli», ha affermato il procuratore generale della California Rob Bonta (che sta guidando la causa federale) durante una conferenza stampa con gli altri Stati . «Ci rifiutiamo di permettere all’azienda di fingere di ignorare il danno che sta causando, ci rifiutiamo di lasciarla continuare a fare affari come ha sempre fatto fin’ora.»
Sostanzialmente, la causa è imperniata sul presupposto che la piattaforma di Mark Zuckerberg inganni gli utenti servendosi di affermazioni “false e fuorvianti” secondo cui le sue funzionalità non sarebbero manipolatorie e che Facebook e Instagram non sarebbero progettate per promuovere il coinvolgimento malsano dei bambini e che i suoi prodotti sarebbe sicuri per loro.
Le azioni legali sono progettate per aggirare la sezione 230 del Communications Decency Act, una legge vecchia di decenni che protegge le piattaforme dall’essere ritenute responsabili per la maggior parte dei contenuti pubblicati dagli utenti.
Esattamente ciò che Donald Trump cercò di fare sul finire del suo mandato alla Casa Bianca per porre fine al potere illimitato dei giganti del Web: tema su cui vi invito a leggere questa mia analisi che pubblicai nel gennaio del 2021.
Le cause legali per la tutela dei consumatori non prendono di mira contenuti specifici, ma sostengono che Meta ha ingannato il pubblico riguardo alla sicurezza dei bambini sulle sue app: sebbene Meta ufficialmente vieti l’utilizzo delle proprie piattaforme agli utenti di età inferiore a 13 anni, i procuratori affermano che nella realtà tale restrizione non venga applicata.
Infatti, fino al dicembre 2019 Instagram non chiedeva ai nuovi utenti di rivelare la propria età per creare nuovi account, e anche quando ha iniziato a farlo, la pagina di registrazione generava in automatico una data di nascita che collocava l’età dell’utente a 13 anni.
Bene, anzi benissimo la presa di coscienza da parte di ministeri, parlamenti e tribunali rispetto al tema gigantesco della Sovranità Digitale, che a mio avviso deve essere affrontato – come finalmente avviene in Italia – con un approccio sistemico e non episodico, poiché l’impatto di queste piattaforme è enorme sia per i bambini che per gli adulti.
Mi spiego. L’arrivo di TikTok ha introdotto un’esperienza online estremamente più passiva e alienante: se il social network tradizionale si basa sull’interazione e sulla costruzione di una rete sociale, il modello dei reel introdotto dalla piattaforma controllata dal governo cinese induce l’utente a scrollare senza soluzione di continuità contenuti perlopiù inutili perdendo la cognizione del tempo nella speranza inconscia che il video successivo sia più interessante del precedente.
In buona sostanza agisce sul meccanismo psicologico della ricompensa variabile che sta alla base del gioco d’azzardo.
Oltre a questo c’è il sistema su cui le BigTech hanno costruito le loro fortune, per il quale la merce siamo noi: più tempo trascorriamo sulle loro piattaforme e più guadagnano. Il motivo è semplice: rivendono la nostra attenzione agli inserzionisti pubblicitari che pagano per farci arrivare i loro messaggi mirati, argomento di cui scrivo qui.
In conclusione, però, soprattutto riguardo ai bambini, manca un pezzo importante.
A mio avviso – e lo dico da papà – occorre essere onesti intellettualmente e prendere atto di una realtà oggettiva, ovvero che spesso e volentieri siamo noi genitori a lasciare che i nostri figli diventino dipendenti da queste piattaforme, perché è molto più comodo e meno faticoso dire loro di sì e lasciarli per ore e ore con lo smartphone in mano, piuttosto che dedicargli tempo e attenzione.
Alla fine, gira e rigira, molto di ciò che è la nostra società deriva dalla sua cellula fondante, che non a caso è sotto attacco: la famiglia.