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Coronavirus

I vaccini, il Green pass e la pessima abitudine di farci dividere in ultras

È la polarizzazione, bellezza. Un fenomeno che a parole tutti combattono ma che, nei fatti, tutti alimentiamo. Il problema, in primis, è di comunicazione, soprattutto ai livelli più alti: tra le Istituzioni (basti pensare ai recenti epic fail sulla “pericolosità” di AstraZeneca e ai danni causati dalla disastrosa comunicazione sui DPCM in tempo di lockdown), nei leader politici (vedi, giusto per citare un esempio recente, la posizione di Letta sul DDL Zan: zero discussioni, o lo condividi in toto oppure sei omofobo, fascista e razzista) e nei media del cosiddetto mainstream, che cavalcano le rispettive posizioni polarizzanti per fare click e vendere copie agli ultras di una curva e dell’altra.

Alla base di tutto questo, va detto, c’è il contesto costruito dalle Big Tech, le cui piattaforme premiano i contenuti ad alto tasso di engagement capaci, cioè, di catturare l’interesse e quindi l’attenzione di altri utenti, in modo che rimangano collegati più tempo possibile. Il motivo è semplice, più ore trascorriamo sulle piattaforme, più loro guadagnano vendendo la nostra attenzione a chi paga per farsi pubblicità.

Uno scenario al quale tutti si sono dovuti adeguare, pena l’oblio. I giornali perché ormai guadagnano in larghissima parte dalla pubblicità online, i cui introiti sono direttamente proporzionali al numero di click totalizzato dai contenuti che pubblicano; i politici, per i quali è molto più semplice fidelizzare l’elettorato polarizzandolo con qualche slogan, che non aprendosi alla discussione e tornando a fare “politica vera” sul territorio ed elaborando proposte concrete; le Istituzioni, drammaticamente abituate a ragionare sul breve periodo e quindi del tutto miopi rispetto a grandi temi come la centralità della comunicazione o la Sovranità Digitale.

Un contesto, questo, in cui la discussione con chi la pensa diversamente è ormai divenuta un lusso che una minoranza sempre più sparuta di menti pensanti riesce a permettersi. Ergo, una questione centrale come quella sui vaccini è stata ridotta alla stregua dell’ennesima guerra di religione dentro a cui il confronto rasenta ormai l’impossibile.

Personalmente, tanto per essere chiari, nonostante il terrorismo mediatico di quei giorni non ho avuto la minima esitazione a vaccinarmi con AstraZeneca e ritengo che le boutade sul presunto pericolo dei vaccini siano delle baggianate che, oltretutto, fanno un gran comodo a Pechino, poiché contribuiscono a nascondere il vero problema, ovvero la Cina.

Detto questo, ritengo che i toni inquisitori di molti non facciano altro che stimolare l’effetto opposto, ovvero cristallizzare ulteriormente la posizione di chi non vuole vaccinarsi o rimane nel limbo degli indecisi.

Vero, il tempo stringe e il solo pensiero di nuove restrizioni ripugna, ma mai come in questo momento il governo dovrebbe coinvolgere veri professionisti affinché elaborino una strategia di comunicazione capace di convincere chi è refrattario al vaccino: la storia ci regala decine di case study che dimostrano come idee “out of the box” possano essere assolutamente capaci di una simile impresa.

Per una volta si tratta di utilizzarle non per guadagnare consenso politico o convincere la gente che il bacon a colazione è buono e fa bene, ma per far capire a chi nutre dubbi che il vaccino è la soluzione e non il problema e uscire, quindi, da questo maledetto incubo riprendendendoci la libertà che ci è stata strappata senza dover pagare il prezzo di lacerazioni utili soltanto al divide et impera di qualcuno ma non certo a noi, che ancora ci trasciniamo quelle del secolo scorso.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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