Si chiama Parler è una piattaforma di microblogging simile a Twitter e, proprio mentre i media mainstream assegnavano trionfalmente la vittoria a Joe Biden, è diventata l’app più scaricata d’America: 1 milione di downloads in soli 5 giorni.
Sul suo sito web, Parler si decrive così: «Parla liberamente ed esprimiti apertamente, senza paura di essere cancellato per le tue opinioni. Parler è una soluzione ai problemi emersi negli ultimi anni a causa dei cambiamenti nella politica delle Big Tech Companies influenzate da vari gruppi di potere. Interagisci con persone reali, non robot. Parler è incentrato sulle persone e sulla privacy e ti offre gli strumenti necessari per curare la tua esperienza».
Mentre Twitter e Facebook hanno di fatto dichiarato guerra ai post di Donald Trump, definendoli “fuorvianti”, Parler si definisce una piattaforma di social media basata sulla “libertà di parola”. Lo scorso giugno CEO John Matze nel corso di un’intervista ha dichiarato che il suo social non si avvarrà di “fact checker”.
Matze si è laureato all’Università di Denver nel 2014 e ha lavorato come ingegnere per Amazon Web Services prima di creare l’app di cui pare abbia acquisito delle quote anche Dan Bongino, un giornalista di Fox News giudicato molto vicino al presidente Trump.
Gli utenti della piattaforma sono principalmente influencer e politici repubblicani e di destra, fatto sta che ora la piattaforma conti milioni di utenti e account come la pagina del senatore repubblicano del Texas Ted Cruz che ha raccolto più di 3 milioni di follower, il presentatore Fox Sean Hannity con 2,5 milioni ed Eric Trump con 1,4 milioni.
Ci sono anche il conduttore televisivo (conservatore) Mark Levin, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani e l’ex capo stratega alla Casa Bianca Steve Bannon, che nel corso dell’intervista che gli feci lo scorso 26 giugno rispose a una mia domanda sul tema introducendo il concetto di sovranità digitale (nel video qui sotto potrete ascoltare direttamente la sua risposta).
Parler, come Twitter, consente agli utenti di condividere con i propri follower post (il limite è di 999 caratteri), collegamenti, foto e anche commentare e votare a favore dei “parleys”, ovvero il nome con cui sono stati ribattezzati i post.
Senz’altro l’ascesa di Parler rappresenta una prima risposta concreta all’ostilità manifestata dai social di Zuckerberg e Dorsey nei riguardi non soltanto di Trump, ma anche di un numero sempre crescente di utenti che in molti casi vengono penalizzati non perché estremisti o diffusori di fake news ma, più semplicemente, perché non si assoggettano ai dettami che pensiero unico e politicamente corretto tentano di imporre a chiunque, censurando chi si ostina a non allinearsi.
Concetto che, nostro malgrado, lo scorso gennaio abbiamo vissuto sulla nostra pelle con il blocco – da parte di Twitter – del mio account personale e di quello di Orwell. Motivo? Aver pubblicato un articolo nel quale, udite udite, sul nostro giornale un articolo nel quale condannavamo il vomitatoio d’insulti che si scatenò alla notizia della morte di Giampaolo Pansa.
Parler prenderà piede anche in Italia? Staremo a vedere, nel frattempo noi di Orwell possiamo dire di essere il primo quotidiano italiano ad aver creato il proprio profilo. Vi aspettiamo anche lì.