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Cultura

Iginio Massari «miglior pasticcere d’Italia», e non solo

Per aspera da astra. Ecco, se dovessi dare un titolo alla carriera di Iginio Massari non avrei alcun dubbio nello scegliere la celebre frase latina che letteralmente significa «attraverso le asperità sino alle stelle»; sì, perché se dall’esterno percepiamo solo la punta dell’iceberg, è bene sapere che sotto la superficie dei successi e della conseguente notorietà ci sono decenni interi di rinunce e sacrifici che – attenzione – per il Maestro dei Maestri non sono terminati neppure adesso.

D’altra parte non si diventa certamente a caso nove volte (!) consecutivamente “Miglior Pasticcere d’Italia” subito dopo essersi laureati “Miglior Pasticcere del Mondo” e aver messo in bacheca una sfilza di premi e riconoscimenti conquistati in ogni angolo del pianeta. Chi conosce il mondo della pasticceria, sa perfettamente a cosa mi riferisco: orari impossibili, rinuncia a feste comandate, week end, ponti e ferie nei periodi in cui le fanno tutti.

Un mondo che, sia pur indirettamente, conosco anche grazie al Maestro Massari, ai suoi racconti e, soprattutto, al suo esempio: proprio così, perché da testimone “esterno” posso tranquillamente dire che in nessun altro ambiente mi è mai capitato di imbattermi in un Leader unanimemente riconosciuto come Iginio lo è nella pasticceria.

In quasi un decennio non mi è mai capitato di sentire nessuno parlarne male, al contrario soltanto elogi e storie oggettivamente straordinarie come quella che potrete leggere di seguito, che abbiamo tradotto da un articolo di Ruth Reichl,  una delle più influenti giornaliste di food al mondo.

Buona lettura e… buon Iginio Massari a tutti!

 

Ruth Reichl prova il panettone che vorrete tenervi tutto per voi

«Quando dissi ai cuochi italiani con cui lavoravo al Bulli che andavo a Brescia per imparare a fare il panettone dal più grande maestro del mondo, si sono messi a ridere», racconta il pasticcere della Bay Area Roy Shvartzapel. Capita. Ma Shvartzapel non si scoraggia facilmente: non fa chiamate, non scrive lettere, si limita a prendere uno zaino e a salire sul treno.

«Scesi a Brescia e percorsi i 5 chilometri che mancavano alla Pasticceria Veneto. Ed era chiusa!» Il giovane pasticcere rimase a fissare la porta del locale.Non aveva soldi e nessun posto dove andare. «Cosa sto facendo qui?» Si chiese.

La “colpa” era del grande maestro di pasticceria francese Pierre Hermé. «Quando mi sono laureato al Culinary Institute of America», dice Shvartzapel, «ero deciso a venire a Parigi e lavorare per lui». Nel mondo della pasticceria, Hermé è un punto di riferimento; le sue boutique sono buie, ogni confezione è esposta sotto la sua luce come se fosse un gioiello. In effetti, Hermé tratta le sue creazioni come la gioielleria, presentando nuovi disegni ogni stagione.

«Lavorare lì è stato straordinario», afferma Shvartzapel, «ma quello che mi affascinava di più era l’ansia che pervadeva la cucina ogni volta che producevano il panettone».

Il panettone di Hermé non assomigliava per nulla al goffo, secco, dolce pane con cui Shvartzapel aveva familiarizzato.Era un miracolo di leggerezza, aria e zucchero infornati in una schiuma di lievito e congelati nel tempo. «Quello che ho scoperto è che il grande panettone è molto difficile da realizzare.Sfida ogni regola di cottura.Hermé imparò dal più grande maestro, Iginio Massari, e sapevo che dovevo andare anche io lì».

Eccolo lì, a sbattere contro la porta del forno a Brescia.Con sua sorpresa si aprì, e il maestro stesso disse, nel suo inglese limitato, «vieni alle quattro domattina e farai il panettone con me».

«Si rende conto che sono solo un apprendista squattrinato?» si domandò Shvartzapel.«Ho iniziato a temere che ci fosse stato un malinteso. Ho chiesto se mi poteva suggerire un ostello. L’unica cosa che so è che sono stato trasferito in un hotel di lusso». Imbarazzato, Shvartzapel cercò di spiegare all’addetto alla reception che l’hotel era molto al di sopra delle sue possibilità. «Nessun problema» rispose l’uomo «il signor Massari ha pagato la sua stanza».

Chiaramente Massari aveva visto qualcosa nel giovane cuoco, e la mattina dopo cominciò a rivelargli i suoi segreti. «Non si tratta di ingredienti. Si tratta di tecnica», dice Shvartzapel. «Ho preso molti appunti».

La fede di Massari non era malriposta: Shvartzapel tornò in America deciso a lanciare una “rivoluzione panettonica”. Per tre anni, mentre lavorava nel ristorante Cyrus – due stelle Michelin – a Healdsburg, in California, Shvartzapel sperimentò farina, frutta e lievito.«Ci furono molti fallimenti», ammette.

Se il grande panettone dipendesse dagli ingredienti, sarebbe facile. Ma tutto dipende dal modo in cui le condizioni quotidiane cambiano la fermentazione, il tatto, l’artigianalità. «Vorrei sapere qualche trucco», dice Shvartzapel.«Ma tutto quello che ho è la mia natura ossessiva e una disciplina maniacale».

Quando fu il momento di rivelare la sua creazione, la drogheria biologica di Healdsburg, Shelton, gli permise di allestire un tavolo. Ma il proprietario aveva poche speranze. «Nessuno comprerà del pane con un po’ di frutta per 40 dollari», disse. Con sorpresa del droghiere le confezioni vennero vendute così in fretta che Shvartzapel dovette limitare il numero di clienti che le potevano acquistare.

In effetti, mangiare il panettone è quasi psichedelico nella sua intensità.Burroso senza essere ricco, è leggero come una piuma, ogni strato di ragnatela sembra evaporare nella tua bocca finché nel palato non ti rimane altro che una sorta di crepitio scoppiettante.Una volta ho tostato una fetta e l’aria si è riempita di un aroma così invitante che i vicini sono venuti a bussare alla mia porta.

Sembra un peccato conservare qualcosa di così delizioso solo per Natale, ma se Shvartzapel ha trovato la sua strada, anche questo aspetto cambierà.Creando un’intera gamma di sapori insoliti, è intenzionato a trasformare il panettone in un dolce per tutto l’anno. (Il famoso pasticcere Nancy Silverton è va matto per la versione alla banana, io preferisco quello al cioccolato).

Come hanno reagito i maestri all’operato di Shvartzapel? «Ne ho mandato uno a Pierre Hermé», dice, «e mi ha fatto i complimenti».

E Massari?

Shvartzapel esita. «Il solo pensiero di inviarlo al signor Massari mi innervosisce. Penso che andrebbe abbastanza bene anche per lui, ma per mandarglielo continuo ad aspettare di sfornare il panettone perfetto».

Questo articolo di Ruth Reichl è stato pubblicato nel numero di dicembre/gennaio 2018 di Town & Country.

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