Che il fenomeno Zelensky andasse ben oltre i suoi trascorsi (anche) da comico, era del tutto evidente a chiunque si fosse preso la briga di studiarselo sul serio. Tant’è che dopo aver vinto con un plebiscitario 73% le elezioni presidenziali delle scorso 21 aprile, il quarantunenne nato in un’anonima cittadina ai margini di Kiev ha vinto a mani basse anche le elezioni parlamentari aggiudicandosi, contro ogni pronostico, la maggioranza assoluta dei seggi.
Si tratta di due vittorie non certo casuali ma, al contrario, figlie di una strategia innovativa quando non rivoluzionaria in termini di comunicazione politica, basti pensare che la campagna elettorale per le presidenziali è stata condotta unicamente online, la prima a questi livelli. Casuale non è stata nemmeno la presenza di Orwell nel quartier generale di Zelensky, dove lo scorso marzo abbiamo documentato dall’interno la vittoria al primo turno, realizzando uno speciale e un videoreportage con i quali ci siamo soffermati giust’appunto sulla comunicazione intesa non soltanto in termini meramente propagandistici, ma di approccio vero e proprio.
«Internet non è uno strumento, ma la nostra idea di connessione con la gente» affermò il capo della comunicazione online di Zelensky, Alexander Kornienko, nella lunga intervista che gli realizzai, durante la quale, peraltro, rifiutò nettamente il paragone con Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle.
Per intenderci, qui siamo di fronte alla digital disruption applicata alla politica: Poroshenko era Blockbuster e Zelensky Netflix, fine della storia. Ovvio che in questo abbia inciso anche l’abilità nel sapersi servire dello storytelling derivante alla serie televisiva di cui l’attuale presidente era protagonista, e nel quale interpretava un professore divenuto presidente dell’Ucraina, guarda caso a capo di un partito con lo stesso nome della lista con cui ieri ha anche conquistato – nella realtà – la Verchovna Rada: “Il servitore del Popolo”. Brand che incarna coerentemente il modo completamente nuovo con cui si è posto dinnanzi ai propri elettori, vale a dire utilizzando il Web non soltanto come megafono unidirezionale o come sistema chiuso (vedi la piattaforma Rousseau) ma, al contrario, aderendo in tutto e per tutto al concetto di apertura che caratterizza il Web, lanciando un messaggio che potrebbe essere sintetizzato con un «sono il vostro servitore, ditemi cosa volete che faccia e io lo farò». Ormai celebre, in questo senso, il dibattito finale tenutosi allo stadio Olimpico di Kiev durante il quale Zelensky lesse al suo avversario le domande che gli erano pervenute dai suoi sostenitori attraverso Facebook.
Alle nostre latitudini, però, Volodimyr Zelensky rimane «il comico», un fenomeno da baraccone paragonabile allo sketch dei bulgari di Aldo, Giovanni e Giacomo: tono sprezzante che, poi, è il medesimo utilizzato con i vari Trump, Salvini e chiunque altro abbia l’ardire di uscire dal coro del pensiero unico.