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Innovazione

Twitter e la svolta dadaista di Musk

Entrando nella sede di Twitter con un lavandino in braccio, Elon Musk ha chiaramente emulato Marcel Duchamp per lanciare un messaggio molto netto: la sua sarà una svolta ispirata ai dettami del dadaismo, l’avanguardia artistica nata ai primi del Novecento e basata sul totale rifiuto di qualsiasi schema precostituito poiché in antitesi con il concetto stesso di arte. La libertà dell’artista – e quindi dell’individuo – elevata all’ennesima potenza, anche a costo di sconfinare nel caos e nell’anarchia.

Messaggio che Musk ha subito tradotto in azioni, licenziando in tronco il chief executive Parag Agrawal, il chief financial officer Ned Segal, il general counsel Sean Edgett e, dulcis in fundo, il responsabile degli affari legali e della policy Vijaya Gadde.

Quest’ultima è infatti l’autrice della vera e propria censura di contenuti considerati difformi rispetto alla narrazione imposta dal mainstream, esponendo Twitter a una deriva che è culminata con la chiusura permanente del profilo dell’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump e, con lui, di decine di migliaia di opinion maker etichettati come “populisti” tra cui l’ex capo stratega alla Casa Bianca Steve Bannon.

L’obiettivo di Musk è molto semplice, ovvero ristabilire il sacrosanto diritto di poter esprimere qualsiasi opinione al netto – ovviamente – delle responsabilità che il singolo utente si assume rispetto ai contenuti che pubblica. Per capirci, Twitter non eserciterà più la funzione di Ministero della Verità di orwelliana memoria arrogandosi, come ha invece fatto negli ultimi anni, l’autorità di decidere quali idee avessero diritto di essere espresse e quali altre no.

Un meme che rende l’idea di cosa sarebbe successo durante la Seconda guerra Mondiale se i social fossero esistiti e si fossero comportati come hanno fatto con Trump.

Concetto al cui riguardo lo stesso Elon Musk ha pubblicato diversi tweet nei mesi scorsi, lasciando presagire che nelle prossime ore potrebbe “liberare” molti dei profili attualmente bloccati, tra i quali spicca quello di Trump, che da par suo nel frattempo ha fondato la TMTG (acronimo di Trump Media & Technology Group) dando così vita a Truth, il suo social network «libero dalle discriminazioni» che attualmente, però, è disponibile solo negli States. Motivo per cui non è affatto scontato che l’ex presidente americano decida di tornare sulla piattaforma di Musk.

Il post con cui Trump dice la sua su Twitter ma dichiara fedeltà al suo Truth

Parallelamente alla libertà di espressione, Musk punterà senz’altro su un altro dei suoi cavalli di battaglia: l’eliminazione degli account “fake” e dei bot che vengono programmati per eseguire in automatico alcune azioni finalizzate a condizionare i “top trend” dando quindi visibilità a determinati topic in modo fraudolento.

In buona sostanza ad ogni profilo dovrà corrispondere un’identità verificata attraverso un documento, un approccio che fino ad ora non è stato applicato per una ragione molto semplice: diffondendo contenuti, i profili fake contribuiscono ad alimentare il business delle piattaforme.

Capite bene che si tratta di un tema affrontato sempre con grande ipocrisia: con una mano attacco (a senso unico) le fake news e con l’altra continuo a permettere il proliferare di profili falsi. Elon Musk lo ha compreso e pensa che offrire agli utenti un’esperienza qualitativamente diversa possa consentirgli di acquisire un enorme vantaggio rispetto a competitor che oltretutto ultimamente non se la passano benissimo.

Da un lato ci sono le ingenti perdite di Meta, che derivano in gran parte dalla voragine creata da Zuckerberg con gli investimenti sul metaverso che attualmente, con buona pace dei suoi fan, ancora non esiste. Dall’altro c’è TikTok, che punta esclusivamente sull’intrattenimento improntato al livellamento verso il basso – e alla conseguente alienazione – degli utenti che usufruiscono della sua piattaforma.

Nel mezzo può benissimo starci un social network per tutte quelle persone che non si accontentano di spendere il loro tempo scorrendo meccanicamente un feed popolato da contenuti prevalentemente privi di senso e che, al contrario, intendono investirlo frequentando una piazza virtuale che consenta loro di aggiornarsi direttamente dalle fonti, di partecipare al dibattito pubblico esprimendo liberamente la propria opinione e di poter interloquire direttamente con gli opinion leader dei settori di loro interesse. Il tutto finalmente scevro da hater anonimi e divulgatori di contenuti spazzatura.

Se le intenzioni fossero effettivamente queste c’è da augurarsi che il buon Musk riesca nell’impresa.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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