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Politica

Con Zelensky per fare l’Eucraina

Quando decisi che sarei andato a Kiev per realizzare un reportage sulla campagna elettorale di Volodymyr Zelensky, alcuni dei miei collaboratori strabuzzarono gli occhi. C’era da capirli, d’altra parte alle nostre latitudini le elezioni ucraine riscuotevano più o meno lo stesso interesse di un cineforum sulla Corazzata Petëmkim, con l’eccezione di una manciata di articoli che parlavano del “Grillo ucraino”. Primo errore, e tra poco vedremo perché. Personalmente fui affascinato dal fatto che Zelensky presidente lo fosse già stato, ma da protagonista di una serie televisiva. Per intenderci, è come se Kevin Spacey si fosse candidato sul serio alla Casa Bianca.

Insomma, se a incuriosirmi fu la somiglianza con la storia di Alex Anderson, a convincermi che sarei dovuto immediatamente salire su un aereo per l’Ucraina furono i suoi canali di comunicazione: dal sito web ai social, capii subito che mi trovavo di fronte a una campagna gestita in modo assolutamente innovativo.

Ne ebbi conferma non appena entrai in contatto con il suo staff, che rispose alla mia email praticamente in tempo reale offrendomi la possibilità di trascorrere l’election day al quartier generale allestito al Centro Congressi “Parkovy”: 48 ore di full immersion su un fenomeno destinato a fare scuola in materia di marketing politico, trascorse a confrontarmi sia con alcuni degli spin doctor del candidato sia con diversi giornalisti ucraini, a loro volta incuriositi dalla mia esperienza di candidato fake.

Per comprendere il loro mindset fu importantissima l’intervista al “Bannon di Zelensky”, Alexander Kornienko, che partì definendo «fondamentale» il ruolo di Internet e rivelando che «la nostra campagna elettorale è stata fatta solamente online», cioè «senza stampare nemmeno un volantino o un manifesto». Già questo è un primo elemento chiave, perché ci troviamo di fronte ad un unicum, quantomeno a certi livelli.

Ma andiamo avanti, perché lo stratega di Zelensky si spinse ancora più oltre, affermando che per loro «è riduttivo definire ‘strumento’ il Web» che invece consideravano «la strategia, la vera e propria vision del nostro leader». Sulla stessa lunghezza d’onda Artem Gagarin – un altro dei responsabili della campagna – aggiunse che «grazie alla Rete Zelensky comunica orizzontalmente con tutti gli ucraini, indipendentemente da chi siano o cosa facciano, coinvolgendoli attivamente in scelte importanti come la realizzazione del programma» confermando, poi, che Zelensky «manterrà questo tipo di connessione con il proprio popolo anche da presidente».

La prima campagna elettorale completamente digital segna un’ulteriore step evolutivo rispetto a quelle di Obama nel 2008 e di Trump nel 2016: un approccio disruptive capace, cioè, di introdurre un modo totalmente nuovo di fare comunicazione politica, a partire dalla qualità dei contenuti condivisi per arrivare all’utilizzo di un canale come Telegram.

Quanto alla sostanza dei contenuti, per tracciare i contorni della matrice identitaria del presidente ucraino dobbiamo tornare a Kornienko che, dopo aver respinto (anche con una certa stizza) il parallelo con Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle, accettò il paragone con il modo di comunicare di Trump, ma precisando che «lui è milionario, e quindi élite, magari poco tradizionale, ma pur sempre élite». Quella stessa élite di cui «Zelensky non fa parte» e che, sempre secondo Kornienko, in Ucraina così come nel resto del mondo è protagonista «di uno scontro con il popolo».

Insomma, lo zelenkysmo era talmente anti-establishment da considerare perfino Trump – cioè l’antisistema per antonomasia – parte del “sistema” e quindi altro rispetto al popolo da lui rappresentato.

Un altro stereotipo del tutto infondato sul suo conto era quello relativo alla sua presunta subalternità a Putin: una visione distorta, causata dalla mancanza di conoscenza reale e dalla pessima abitudine di riprendere notizie di seconda o terza mano magari tradotte con Google, uno dei tanti effetti collaterali della crisi di un’editoria sempre più drogata dagli algoritmi delle BigTech.

Basti pensare che appena qualche giorno dopo la sua elezione, Zelensky rispose a una provocazione del capo del Cremlino offrendo «la cittadinanza ucraina ai cittadini di tutti i paesi che soffrono a causa di regimi autoritari e corrotti, prima di tutto al popolo russo, che soffre più di ogni altro».

Premessa lunga ma necessaria per conoscere il presidente ucraino che ha deciso di rimanere al fianco del suo popolo in una Kiev messa a ferro e fuoco da Vladimir Putin, una scelta che ha fatto ricredere molti di quelli che si ostinavano a definirlo “comico” e che, evidentemente, non lo ritenevano all’altezza del ruolo.

In queste ore drammatiche Volodymir Zelensky e il popolo ucraino stanno diventando sempre di più il simbolo dell’Europa pur non facendone formalmente parte: sono loro, oggi, i veri patrioti europei, il baluardo che resiste all’avanzata dell’attacco che la Russia ha sferrato all’Occidente intero, già sfiancato dalla pandemia colpevolmente diffusa dalla Cina e in preda a una crisi d’identità che rischia di minarne definitivamente le fondamenta.

«È il momento cruciale per chiudere una volta per tutte questa lunga discussione e decidere in merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Ho appena parlato con il presidente del Consiglio europeo di un’ulteriore assistenza effettiva e dell’eroica lotta degli ucraini per il loro futuro libero», è stato l’appello lanciato ieri da Zelensky tramite il suo profilo Twitter: l’Europa deve comprendere che è necessaria una risposta politica prim’ancora che economica.

Si tratta di un’occasione storica, ma il tempo sta per scadere: ora o mai più. Per l’Ucraina, per l’Europa e per l’Occidente: Eucraina subito!

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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