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Coronavirus

Il flop di immuni (parte seconda)

L’app Immuni, progettata contro la pandemia, è stata un mezzo flop. Forse un flop intero. Colpa di un sistema complesso, e probabilmente anche di qualche dubbio di troppo sul rispetto della privacy. Nella prima parte dell’inchiesta, abbiamo visto come funziona il sistema. Ora cerchiamo di capire perché NON funziona. E dove.

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L’app Immuni, progettata contro la pandemia, è stata un mezzo flop. Forse un flop intero. Colpa di un sistema complesso, e probabilmente anche di qualche dubbio di troppo sul rispetto della privacy. Nella prima parte dell’inchiesta, abbiamo visto come funziona il sistema. Ora cerchiamo di capire perché NON funziona. E dove.

La Stampa del 19 ottobre ha rivelato che Conte starebbe pensando di rendere obbligatoria Immuni. L’idea viene attribuita al capo del M5s, Vito Crimi, ma pone vari e seri problemi. Al di là della violazione delle indicazioni della Commissione Ue, che ha sempre prescritto che l’adesione sia rigorosamente su base «volontaria», si tratterebbe di acquistare smartphone per i milioni di italiani che non li posseggono, o che hanno modelli inadeguati.

Sì, perché anche questo è un limite tecnico che si è rivelato insormontabile, per Immuni: buona parte degli italiani non può scaricarla sul cellulare.

L’app infatti si basa sul sistema di «exposure notification» (cioè notifica di esposizione) creato lo scorso aprile da Apple e da Google, il che le consente di funzionare su molti smartphone, ma non su tutti. Per esempio, Immuni non «gira» sugli ultimi Huawei, in quanto sono scollegati dalla tecnologia Google-Apple.

Ma ci sono altri problemi di ricezione tecnica. Anche i 6,6 milioni di italiani che posseggono un iPhone possono scaricare l’app anti-Covid solamente se il loro smartphone è abbastanza aggiornato da essere compaibile con l’ultima versione del sistema operativo Apple (lo iOS 13.5), che è disponibile dal 20 maggio 2020. Questo significa che, se non si possiede almeno un iPhone6, il modello lanciato nel 2014 (l’ultimo è l’iPhone12, appena messo in vendita), si è inevitabilmente esclusi da Immuni.

Quanto alla maggioranza degli altri 37,2 milioni di italiani che posseggono uno smartphone dotato di sistema operativo Android, attivo per esempio sui telefoni Samsung, solamente un terzo dei loro cellulari usa una certa tecnologia (detta «hardware attestation») che è necessaria affinché i dati consegnati a Immuni possano essere registrati sui server.

Ergo, Immuni viene «respinta» da troppi cellulari.


Altre criticità di Immuni: le carenze operative

I problemi non sono esclusivamente tecnici. Anche le carenze operative hanno avuto la loro parte nel flop di Immuni. Sandro Vespignani, direttore dell’Università di Boston è un fisico di grande fama che fin dal suo inizio studia la pandemia: ed è tra i grandi sostenitori del contact tracing, Vespignani, ma sostiene – a ragione – che un’app in questo campo ha senso «soltanto se le crei attorno un mondo», cioè un sistema di risposta. A Immuni, invece, il sistema di risposta manca del tutto: «Non ti segnala con chi parlare, non ti indica un medico da contattare», dice Vespignani. «Non ti fa nemmeno prenotare e fare un tampone in tempi brevi. Senza questi servizi, l’app fa addirittura paura: ti spedisce una notifica di contatto a rischio, e a quel punto sei solo».

Un altro difetto di Immuni è quello dei tanti f«alsi positivi»: come s’è visto, infatti, l’app indica se c’è stato un contatto «a rischio» con un contagiato di Covid-19 se il contatto dura più di 15 minuti e avviene a meno di 2 metri. Ma la Technology Review del Mit di Boston sostiene che il bluetooth «è uno strumento molto impreciso». È vero che registra la distanza tra due smartphone e la durata del contatto tra loro. Ma questi dati «cambiano a seconda che le persone abbiano il cellulare in tasca o in mano, che lo tengano verticale od orizzontale, all’aperto o al chiuso». E il bluetooth può anche registrare il contatto tra «telefoni che si trovano vicini, ma sono separati da un muro o da un vetro, da un soffitto o da un pavimento: ostacoli che in effetti bloccherebbero il contagio». In teoria, basta anche la lastra di plexiglas di un taxi o posta davanti alla cassa di un negozio.

Molte cronache recenti hanno rivelato infine i casi di utenti finiti in incredibili odissee burocratiche, segnate da isolamento obbligato e tamponi ripetuti, per poi scoprire che tutto era dovuto a una segnalazione errata. È accaduto anche a Stefania Prestigiacomo, deputato di Forza Italia. La parlamentare ha raccontato di aver scaricato l’app a fine settembre e di aver ricevuto il 6 ottobre un’errata segnalazione di possibile contagio che l’ha precipitata nel panico: «Ho comunque seguito le istruzioni» ha spiegato «e la mia Asl, e poi il servizio Covid di Siracusa, la mia città, ma anche il medico della Camera mi hanno detto in via informale di lasciare perdere Immuni perché fa un sacco di pasticci».

 

Le altre Immuni nel mondo e in Europa

Applicazioni di contact tracing sono state attivate contro la pandemia in gran parte del globo, di solito già durante la Fase 1 della pandemia. Il Paese dove il sistema pare sia stato più efficace è la Cina (in base ai risultati ufficiali il Paese lamenta meno di 10 morti dal 18 aprile a oggi), ma lì l’applicazione è stata imposta obbligatoriamente fin da gennaio, è controllata direttamente dal governo e le elusioni del sistema sono severamente punite. Il contact tracing sotto una dittatura, del resto, non prevede certo un diritto alla privacy…

Nel resto del mondo le app hanno base volontaria, ma hanno avuto risultati diversificati. A Singapore TraceTogether è stata scaricata dal 18% della popolazione (5,7 milioni di abitanti) però ha avuto seri problemi di comunicazione: insomma, anche qui è stato un fallimento, tanto che il governo ha poi deciso di cambiare strada e adottare un bracciale con chip bluetooth, batteria e memoria.

In Francia dal 2 giugno è attiva StopCovid, che si è rivelata un altro mezzo flop per problemi tecnici e soprattutto per la difficoltà d’uso: non per nulla, a metà settembre l’aveva scaricata soltanto il 4,4% dei possessori di smartphone (lo stesso primo ministro Jean Castex ha clamorosamente ammesso di non averlo fatto), tanto che adesso sta per essere diffusa una nuova versione. In Spagna l’app Radar è partita ai primi di agosto, con un sistema identico a quello di Immuni e con le stesse polemiche sulla privacy, ma è già sul telefono di 4,2 milioni di spagnoli (il 9%). Diversamente dall’Italia, però, Madrid ha predisposto un apparato burocratico-sanitario che dà risposte a segnalazioni e richieste: anche se non è ancora in funzione ovunque, questo sistema ha aiutato gli utenti a districarsi nei meandri dei problemi causati dal virus. E non è poco.

In Germania l’app Corona-Warn è stata lanciata il 1° giugno ed è stata scaricata da 18 milioni di possessori di smartphone (il 28% del totale): anche Corona-Warn funziona più o meno come Immuni, ma indica con molta precisione per quanto tempo l’utente è rimasto vicino a un Covid positivo e a quale esatta distanza. Soprattutto, è un’app utile: chi fa un tampone, per esempio, riceve subito un codice Qr sul cellulare e può anche ricevere il risultato via app. Inoltre, esiste un call center nazionale che dà istruzioni veloci e molto concrete agli utenti, e smista velocemente le richieste di aiuto.

Nel Regno Unito il governo di Bors Johnson ha varato un primo sistema, denominato Nhsx, ma è miseramente fallito. Ha fatto anche peggio di Immuni: non l’ha scaricato quasi nessuno. Un nuovo sistema è partito a settembre e sembra funzionare molto meglio, visto che è stato adottato da 12 milioni di possessori di smartphone (il 24% del totale). Va detto che ha funzioni che le altre app non hanno. Per esempio, se viene notificato un contatto con un soggetto a rischio, l’utente può prenotare immediatamente un tampone tramite l’app, e sempre attraverso il cellulare può ottenerne il risultato.

Il segreto sta tutto lì, insomma: nella semplicità d’uso, nel servizio offerto al cliente, nell’efficacia delle risposte che il sistema dà a problemi e dubbi degli utenti. Ma lo capiranno, a Roma?

Fine.

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