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INCHIESTA SULLA CINA

Cucù in Cina il virus non c’è più

Donald Trump è personaggio controverso, ma su una cosa ha indiscutibilmente ragione: il Covid-19 è un «Chinese virus», cioè un virus cinese. Nel senso che dalla Cina sicuramente proviene. Ma se questo è vero, com’è vero, allora come ha fatto proprio la Cina a guarire tanto in fretta dal «suo» morbo, quello stesso coronavirus che ha azzoppato l’economia globale?

Donald Trump è personaggio controverso, ma su una cosa ha indiscutibilmente ragione: il Covid-19 è un «Chinese virus», cioè un virus cinese. Nel senso che dalla Cina sicuramente proviene. Ma se questo è vero, com’è vero, allora come ha fatto proprio la Cina a guarire tanto in fretta dal «suo» morbo, quello stesso coronavirus che ha azzoppato l’economia globale?

A segnalare che la Repubblica popolare stia più che bene ha contribuito pochi giorni fa il Fondo monetario internazionale, che non solo ha confermato che l’economia della Repubblica popolare sarà la sola a crescere nel 2020. Ma ha specificato che, alla fine di dicembre, il Prodotto interno lordo segnerà un incremento attorno al 2%, e che nel 2021 la crescita tornerà rampante: l’8,2%. Questo accade anche perché il lock-down, in Cina, non è esistito. Né è esistita la fase 2. Né, soprattutto, s’intravvede traccia della «seconda ondata» di contagi che invece da due settimane sta massacrando tutte le economie occidentali.

Dai primi di agosto, al contrario, la media dei contagi in tutta la Cina è nulla: viaggia stabilmente (e misteriosamente) attorno a 25 positivi al giorno, un numero ridicolo per un Paese con oltre 1,4 miliardi di abitanti. A Wuhan, la città da cui nell’autunno 2019 era partito il coronavirus (anche se il Mossad, cioè l’efficientissimo servizio segreto israeliano, sostiene che tutto è cominciato molto prima, cioè da agosto), e che in primavera era stata circondata dall’Esercito popolare di liberazione e trasformata in prigione, ora sono permessi assembramenti, anche al chiuso, come le serate in discoteca, e le partite di calcio con pubblico regolare.

Wuhan non è nemmeno un’eccezione, perché la normalità sembra tornata ovunque, in Cina. Pechino, Shanghai, Xian sono piene di turismo e d’affari. Qui la ricaduta dell’epidemia che sta terrorizzando noi occidentali non ha mai attecchito. La prova generale è stata condotta nei primi giorni d’ottobre, la cosiddetta «settimana d’oro» che dal 1950 celebra la fondazione della Repubblica popolare con la «vacanza nazionale». Il governo di Pechino sostiene che per l’occasione si siano messi in viaggio 637 milioni di cinesi, appena il 19% in meno rispetto al 2019. Il turismo interno ne ha tratto grande giovamento, e ovunque i consumi interni si sono impennati.

Viste le premesse, è stata una ripresa quasi totale, insomma, e comunque un risultato impensabile in ogni altra parte del mondo. Online girano video che mostrano la Grande Muraglia e il luminoso Bund di Shanghai tornati a essere i formicai umani di sempre. Tanto che viene da domandarsi se le immagini siano vere, o frutto della propaganda di regime.

Certo, se poi si scava nei dati dell’Organizzazione mondiale della sanità emergono anomalie che fanno pensare male. E tornano in mente anche le distese di urne cinerarie che già a fine marzo contraddicevano tutti i dati ufficiali che parlavano di «meno di 4mila morti» in tutta la sconfinata Cina. Secondo quanto il governo di Pechino fin qui ha comunicato all’Oms, i contagiati in Cina dal 3 gennaio al 12 ottobre sarebbero in tutto 91.305 e i decessi appena 4.746. Guardiamo i dati giornalieri dell’Oms che analizzano il fenomeno in Cina: il 17 aprile segna il picco assoluto, con 1.290 morti di Covid-19. Ma dopo sole 24 ore, d’improvviso, i decessi crollano a zero. E restano tali fino al 12 maggio, quando rispunta un morto. In giugno c’è una recrudescenza, con un altro sfortunato registrato il 14 giugno, seguito da due il 16, e uno il 21. Poi lo stillicidio rallenta e scompare.

Che cosa potrebbe aver provocato l’inverosimile frenata del 18 aprile? Per quanto efficaci e militarmente applicate, le rigide misure di controllo sociale imposte alla società cinese non sono comunque in grado di provocare questo tipo di risultati. Può essere allora l’effetto di un vaccino segreto? Si era saputo in primavera che il regime di Xi Jinping avrebbe testato i prodotti dei suoi laboratori su decine di migliaia di soldati.

Poi non se n’era più saputo nulla. Alcuni osservatori internazionali sottolineano maliziosamente che, se il blocco cinese dei contagi fosse effettivamente il risultato di un vaccino miracoloso, questo potrebbe rafforzare i (già elevati) dubbi sull’origine non del tutto casuale del Covid-19. Del resto, nelle ultime settimane è tornata prepotentemente a farsi sentire la tesi che vuole la pandemia causata da un virus ingegnerizzato geneticamente e prodotto in laboratorio. Se davvero i cinesi sapessero di che cosa si tratta, questa potrebbe essere la perfetta spiegazione logica della loro inusitata capacità di bloccare la pandemia.

L’opacità del governo di Pechino, del resto, è totale, così come è stata sul laboratorio di Wuhan, fin dall’inizio sospettato di essere la culla del virus. Non per nulla, l’Oms continua ad aspettare che Pechino approvi la composizione del team internazionale che dovrebbe indagare sulle misteriose origini della pandemia. Giustificando così in pieno l’accusa americana di agire per fornire una copertura alle responsabilità del regime.

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