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POLITICA USA

Trump vs Biden. Anatomia di uno scontro

Nella notte tra il 29 e il 30 settembre si è disputato a Cleveland, in Ohio, il primo dibattito fra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti: il presidente in carica Donald Trump e lo sfidante democratico Joe Biden.

Nella notte tra il 29 e il 30 settembre si è disputato a Cleveland, in Ohio, il primo dibattito fra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti: il presidente in carica Donald Trump e lo sfidante democratico Joe Biden.

Diciamo subito che più che di un duello si è trattato di uno scontro privo di regole condivise e con continue sovrapposizioni di voci, persino insulti, che i due sfidanti si sono scambiati vicendevolmente. I media americani hanno parlato di “caos” dove chi ha perso è stato soprattutto il pubblico.

Colpa di Trump che ha continuamente interrotto il suo rivale, colpa di Biden che si è concentrato solo nel sottolineare gli errori e la non adeguatezza del presidente in carica e colpa anche del mediatore, Chris Wallace di Fox News, incapace di prendere in mano, con sicurezza, le redini del dibattito.

Jake Tapper della CNN ha definito il confronto “una disgrazia”, mentre la sua collega Dana Bash è stata ancora meno diplomatica, definendolo senza troppi giri di parole “uno spettacolo di merda”. Se questo riguarda la “forma”, ovvero una prima percezione generale del dibattito, proviamo ora ad addentrarci nei “contenuti” di ciò che è successo, ovvero in quella dimensione profonda, spesso non immediatamente percepibile, che riguarda le emozioni, i valori, lo stile, i punti di forza e di debolezza dei due sfidanti.

Cominciamo con il dire che vi sono due concetti archetipici profondi nelle dinamiche delle relazioni umane: competizione e collaborazione. Due motori fondamentali, entrambi necessari, per progredire, migliorare, costruire, raggiungere risultati.

il presidente Trump si è ancorato fortemente al primo di questi due concetti, competizione, parlando spesso di ciò che ha fatto bene, dei risultati virtuosi ottenuti, di ciò che il suo sfidante avrebbe fatto peggio di lui, della necessità di alimentare l’antagonismo con la Cina, utilizzando spesso un “io” tipico di chi esprime forza, sicurezza, capacità di farsi carico di grandi responsabilità.

Tutti passaggi nei quali il portato principale rimandava al concetto di competizione. La vita intera di Trump si è ispirata a questo valore. Nel bene o nel male, tutto il suo agire, da business man e da presidente, è stato orientato da questa bussola interiore. Anche il body language evidenzia e rafforza la spinta di questo motore: il corpo e lo sguardo di Trump sono rivolti talvolta al mediatore ma quasi sempre direttamente al suo avversario, come a sfidarlo in una competizione esplicita, come si dice nel basket, in un uno-contro-uno mentale, visivo, fisico.

La competizione è un motore potente, parte fondativa della cultura anglosassone e protestante, elemento connotante e premiante della società americana. Ma come tutti i motori ha anche un suo punto debole, che vedremo più avanti. Dall’altra parte Joe Biden, lo sfidante poggia tutta la sua strategia comunicativa sul concetto archetipico di “collaborazione”. Collaborazione con la comunità scientifica, con gli alleati atlantici, con il suo partito del quale è solo uno degli esponenti e probabilmente neppure il più famoso o il più vincente.

Biden si rivolge quasi sempre alla telecamera, al pubblico a casa, utilizzando spesso un “noi” con l’intento di coinvolgere, sintonizzarsi, sentirsi parte di una comunità, ignorando Trump sia con lo sguardo che con il corpo e limitandosi ad indicarlo solo con il suo braccio destro, che quasi si dissocia dal resto del suo corpo, in un atteggiamento dispregiativo, svalutante. Quando Trump attacca frontalmente Biden, criticando suo figlio Hunter, allontanato dalle forze armate per uso di cocaina, presta però il fianco al suo sfidante servendogli inconsapevolmente un enorme assist, permettendo cioè a Biden di rispondere che “si, mio figlio ha avuto problemi con la droga, un dramma condiviso da tante famiglie americane, ma ha combattuto e ne è uscito, ed io ora sono orgoglioso di lui”. Ecco, in quel momento Biden si è connesso emozionalmente con tutti quegli americani che hanno avuto un problema simile in famiglia. Non ha avuto paura di mostrare una sua debolezza, una sua sconfitta, un inciampo grave, che con impegno, dedizione e affetto è stato possibile affrontare e superare. Biden si lega così all’esperienza di ognuno di noi, alla nostra imperfezione che ci rende umani, alle nostre fatiche e debolezze che ci ricordano che nulla è regalato e che nulla di importante nella vita si può comprare ma che tutto va conquistato con fatica, impegno e umiltà.

La collaborazione, l’empatia e il senso del “noi” sono l’avversario più insidioso di Trump, abituato invece solo a vincere, a primeggiare e ad essere solo contro tutti; questa è la sua potente, creativa, stupefacente forza ma anche la sua più grande debolezza. Si dice che un vero vincente deve essere capace anche di perdere.

Joe Biden ha perso la moglie e una figlia in un incidente stradale nel 1972 e un altro figlio, Beau, per un tumore al cervello, nel 2015. Queste sue tremende perdite personali sono, paradossalmente, anche la sua più grande forza, perché solo chi è caduto, ha subito i duri colpi della vita e si è rialzato, riesce a connettersi con credibilità alla vita di ciascuno di noi.

I risultati ottenuti da Trump in ambito economico o in politica estera sono indubbi, la sua capacità di vedere strade dove altri non riescono e di trasmettere coraggio e orgoglio per il proprio paese, sono stati il segreto della sua prima elezione. Così come, d’altro canto, la gestione ondivaga e opaca della crisi pandemica e alcune uscite pubbliche alquanto spericolate, rappresentano i punti deboli più evidenti del suo operato.

La notizia della sua positività al virus può essere letta come una sorta di “legge del contrappasso”, una vendetta beffarda della sorte, ma potrebbe anche rivelarsi una grande occasione e una opportunità insperata. Per vincere questa sfida Trump dovrà parlare di futuro e di scelte per il suo paese, per dare forza e continuità a ciò che di buono è stato fatto, ma dovrà soprattutto mostrarsi più umano, con la giusta dose di preoccupazione, aperto all’aiuto degli altri, disponibile a sintonizzarsi in maniera più profonda con le ansie e le preoccupazioni dell’elettorato.

Se continuerà ad attaccare in modo sprezzante il suo sfidante sul piano personale e si dimostrerà incapace di esprimere rispetto e sensibilità verso le sconfitte o le difficoltà, in un momento storico dove tante persone vivono perdite, fatiche e ferite fisiche e psicologiche, Trump regalerà a Biden l’occasione, gli argomenti e i voti per vincere.

Di contro, se Biden si rivelerà incapace, nonostante la sua storia personale di resilienza, di indicare alternative economiche, disegnare orizzonti di innovazione e suggerire azioni concrete capaci di destare attenzione e di rivelarsi attrattive, regalerà a Trump l’occasione per la seconda elezione alla Casa Bianca.

 

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