Prima o poi doveva capitare e, in verità, non siamo nemmeno particolarmente sorpresi.
Tuttavia, fa un certo effetto ascoltare le parole del giudice Amedeo Franco, relatore nel processo in Cassazione in cui è stato coinvolto l’allora senatore – e capo dell’opposizione – Silvio Berlusconi, dichiarare che la condanna per frode fiscale nei confronti dell’ex presidente del Consiglio «…Sia stata guidata dall’alto alla Procura Generale e al primo presidente…Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone, questa è la realtà».
Fa un certo effetto, altresì, ascoltare il “rumoroso” silenzio degli avversari politici (anche se nel caso di Berlusconi sarebbe più corretto definirli nemici), colpiti al basso ventre dall’audio di Franco che ha smascherato (ce ne fosse stato bisogno) la logica postribolare e corporativa alla base del mercimonio in grado di fondere gli interessi esistenti tra politica e magistratura, al fine di destabilizzare le fondamenta democratiche del Paese.
Perché ormai pare abbastanza chiaro: dove manca il consenso elettorale giungono in soccorso le toghe politicizzate, autorità (con la a minuscola) capaci di eliminare, da posizione privilegiata, il leader dell’opposizione in Parlamento.
E, in generale, dovrebbe far ancor più effetto, a noi banali cittadini-elettori, constatare che, alla manovra di “palazzo”, pare abbiano partecipato pure alcune cariche importanti del Paese, quelle, per intenderci, che la democrazia dovrebbero tutelare e difendere e non scavalcare per interessi di bottega.
Se l’affaire Palamara, impostato in modo tale da essere aggiustato carsicamente, a fari spenti, ha svelato invece l’avvilente spettacolo offerto da una compagnia di avanspettacolo, incardinato sul favoritismo spicciolo e sulla spartizione delle nomine, l’audio del relatore nel processo in Cassazione contro Berlusconi, mina alla base la credibilità di una magistratura, apparentemente più imbrogliona che super partes, ormai nuda di fronte all’onore perduto.
Non fa effetto, invece, osservare come i complici di allora, mi riferisco a certa stampa che sull’antiberlusconismo ha costruito un discreto successo, si presentino nuovamente, allineati e coperti, spinti solo dall’urgenza di derubricare a bagattella le “rivelazioni” del giudice Franco.
Anzi, non potendo contestare l’autencità delle parole, si son prodigati al solo scopo di screditare la figura di Franco, finito, insieme con l’editore Antonio Angelucci, in un’indagine del Nas dei Carabinieri, di cui vi risparmio il retroscena pecoreccio.
Spetterà ad altri verificare se, come sostiene uno dei legali di Berlusconi, Niccolò Ghedini, l’audio di Franco «È la prova che i magistrati erano prevenuti».
Tuttavia, appare evidente il motivo dell’incontenibile soddisfazione di chi ha guidato il “plotone d’esecuzione” contro Berlusconi, militanti in servizio permanente effettivo, prestigiatori del magheggio, ora in forte imbarazzo.
Molte sono le responsabilità in capo a Berlusconi, prima fra tutte quella di aver fallito la missione di trasformare l’Italia attraverso la sbandierata, ma mai concretizzata, “rivoluzione liberale”. Insuccessi, però, che avrebbero dovuto sancire la fine della parabola berlusconiana attraverso il risultato scaturito da libere elezioni e non mediante due colpi di mano: uno orchestrato dai burocrati di Bruxelles, e l’altro, invece, per mano dei giudici.
È vero, le sentenze si rispettano anche se non condivise (un po’ meno, però, quando si commentano da sole).