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POLITICA USA

Impeachment: tanto fumo senza arrosto

Il primo a parlare di impeachment fu un uomo che non è mai divenuto presidente. Nei giorni della Costituente americana Benjamin Franklin aveva già le idee molto chiare. Occorreva dare il potere, a chi rappresenta il popolo, di accusare e, a seguito di un voto, eventualmente rimuovere, chiunque occupi un ufficio pubblico. Compreso il presidente degli Stati Uniti.

È così che è nato l’articolo 2 della Costituzione, che al “Sec. 4”, prevede la rimozione di funzionari «dai loro uffici su accusa e verdetto di colpevolezza di tradimento, corruzione o altri gravi crimini e misfatti».

Dalla scorsa settimana, Donald Trump è il terzo presidente a essere sottoposto a questa procedura. Prima di lui: Andrew Johnson e Bill Clinton, senza successo in nessuno dei casi. Sarà così anche per Trump. Non sono solo i numeri a dirlo ma lo ha spiegato chiaramente anche Mitch McConnell, leader della maggioranza al Senato: «L’impeachment può aspettare (…) Francamente, non sono ansioso di avere il processo. Sarebbe una cosa senza precedenti se il Senato permettesse che testimonianze di seconda mano e di terza mano di funzionari pubblici non eletti siano sufficienti a rovesciare il voto del popolo. Sarebbe una crisi costituzionale senza precedenti se il Senato permettesse di stabilire un livello così basso». Poi McConnell ha citato i padri fondatori affermando che «il Senato è stato pensato per fornire stabilità e prevenire crisi costituzionali senza precedenti».

Il voto sulla procedura di impeachment alla Camera, invece, è stato molto veloce. Dopo il primo ok dell’House Intelligence Committee, si è passati in Commissione Giustizia, per poi finire in aula con sei ore di dibattito durante le quali si sono udite le più improbabili metafore e i paragoni più assurdi. Dopo il voto definitivo alla Camera (con una sola sorpresa: Tulsi Gabbard che ha votato “presente” e non “favorevole” alla procedura) la presidente democratica, la quasi ottantenne Nency Pelosi, ha deciso di tenere i due articoli dell’impeachment alla Camera finché democratici e repubblicani «non troveranno un accordo sul processo» al Senato.

Era cosa risaputa e comunemente nota che alla Camera sarebbe stata avviata la procedura. È cosa altrettanto nota che al Senato, probabilmente, la procedura non verrà neanche votata oppure, se i repubblicani lo vorranno, si voterà a ridosso delle presidenziali, per favorire il Presidente.

Nel “Jefferson’s Manual” sono contenuti tutti i dettagli per la procedura di impeachment contro funzionari pubblici di qualsiasi livello. Fino a oggi la procedura è stata applicata per 19 casi a livello federale (a livello locale il numero supera quota 60). Solo 8 degli inquisiti sono stati effettivamente rimossi, alcuni si sono dimessi evitando il processo, altri sono “sopravvissuti”. Si trattava di membri del governo o giudici federali e le accuse erano le più disparate: dalla corruzione all’evasione fiscale fino all’abuso di alcolici e alle molestie sessuali. A proposito di molestie, anche contro Brett Kavanaugh (uno degli attuali nove giudici della Corte Suprema) è stata proposta una procedura di impeachment che ancora deve essere depositata.

Come detto nessun presidente è stato condannato, anche se oggi si parla di “three’s a party” nelle vignette satiriche.

È stato divertente, onestamente, vedere esultare i democratici – anche qui in Italia – per questa messa in stato di accusa. È stato altrettanto divertente vedere ex candidati, come Kamala Harris, twittare contro Trump intimandogli un perentorio “ci vediamo al suo processo”; mentre lui la prendeva in giro per il suo ritiro dalla corsa con la solita irriverenza.

Ne sentiremo parlare ancora, di questa procedura. Se ne parlerà perché per i democratici è vitale tenerla in vita. Se ne parlerà perché i repubblicani, forti della maggioranza, utilizzeranno le norme procedurali a loro piacimento in Senato. Se ne parlerà per mesi durante i dibattiti tra il designato democratico e Trump.
Poi arriverà martedì 3 novembre 2020 e, dal quel giorno, a prescindere dal risultato, non ne sentiremo mai più parlare.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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