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POLITICA USA

Bloomberg for president: l’America ha davvero bisogno di una sfida tra miliardari?

Esiste un detto dalle mie parti: “quando senti elettricità nell’aria, vuol dire che devi prepararti alla tempesta”. È passato quasi un anno, sotto i colpi dei dibattiti sono caduti i primi candidati, eppure, solo nelle ultime ore la vera tempesta si è affacciata in casa democratica. Ha un nome e un cognome: Michael Bloomberg. Il settantasettenne ex sindaco di New York ha sciolto, con ogni probabilità, la riserva: scenderà in campo per le presidenziali. E lo farà nel supermartedì.

I segnali ci sono tutti: giri di telefonate, indiscrezioni giornalistiche e, infine, la consegna delle firme per presentarsi alle primarie in Alabama (il termine scadeva venerdì sera). L’idea di Bloomberg è chiara: Biden è troppo debole, Warren e Sanders non possono vincere.

Le reazioni, infatti, non si sono fatte attendere. Sanders ha immediatamente affermato che «la classe dei miliardari è spaventata e deve essere spaventata». A fargli da eco, Elizabeth Warren: «benvenuto nella gara Mike! Se stai cercando piani politici che facciano una grande differenza per la gente che lavora e che sono molto popolari, comincia da qui»; il tutto, condito con quanto l’ex sindaco di NYC dovrebbe pagare se colpito dalla wealth tax della senatrice. Per intenderci, se Bezos – l’uomo più ricco del mondo – pagherebbe oltre 6 miliardi, Bloomberg dovrebbe sborsarne almeno 3.

Ancora silenzio dal moderato Biden che, qualora Bloomberg dovesse scendere effettivamente in campo per il super Tuesday, sarebbe quello più a rischio. D’altronde, l’ex vicepresidente rischia già di perdere consenso dopo l’Iowa e Pete Buttigieg sembra il primo a volere intercettare tutti i voti.

Nel 2016, Bloomberg rinunciò alla candidatura per non danneggiare Hillary Clinton ma, dopo la debacle, affermò: «penso che avrei battuto Donald Trump. Ma sono pienamente consapevole delle difficoltà nel conquistare la nomination in un campo così affollato». Ora sembra arrivato il momento della tanto attesa decisione definitiva. Non si è fatta attendere la risposta di Donald Trump, il quale ha sentenziato così la discesa in campo: «non c’è nessuno contro cui preferisca correre più del piccolo Michael. Non farà bene e penso che in realtà danneggerà Biden. È diventato solo una nullità, non ha il tocco magico per fare bene, spenderà un sacco di soldi ma il piccolo Michael fallirà». Parole dure, accompagnate dalla solita e proverbiale sicurezza del Presidente.

Ciò che in realtà occorre domandarsi è se, nella marea di candidati democratici, Bloomberg possa rappresentare realmente l’anti-Trump. Insomma, i democratici si rimetteranno in carreggiata grazie a lui oppure si affosseranno definitivamente? Delle due, l’una. Non esistono più vie di mezzo.

La sensazione chiara, a meno di un anno dalle presidenziali, è l’assenza di un candidato che possa realmente unificare tutte le anime del partito. Basti pensare al 2016: gli elettori di Sanders votarono turandosi il naso la Clinton e, ad onore del vero, pochi di loro accettarono l’invito in extremis del senatore socialista.

È chiaro che, in uno scontro frontale fra Bloomberg e Biden ad esempio, gli elettori sceglierebbero l’ex VP. Questo non solo lo rivelano gli indici sondaggistici – 70% Biden, 20% Biden – ma, viste le considerazioni che il magnate originario di Boston ha dei candidati, sono stati altri i dati che lo hanno portato a sciogliere la riserva.

Secondo YouGov e The Economist, il 40% circa degli elettori moderati conservatori democratici, vorrebbe un pacchetto di candidati “più ampio”, fattore che conferma quanto detto sopra. Questo dato, però, va confrontato con il 12% del totale degli elettori, che si dichiara moderato o conservatore. Quindi, effettivamente, quanti di loro sarebbero disposti a votare per Bloomberg, magari abbandonando Biden o Buttigieg? E, inoltre, per gli elettori, sarebbe auspicabile una sfida fra miliardari?

Bloomberg non ha problemi di tipo economico e, riuscirebbe tranquillamente a pubblicizzare se stesso in pochissimo tempo. La sua maggiore preoccupazione, semmai, è la difficoltà nel partecipare al dibattito di dicembre. Il DNC richiede 200mila donatori unici entro il mese. Considerando che, con ogni probabilità, altri candidati cadranno dopo il dibattito di novembre, Bloomberg avrebbe tutto l’interesse nel qualificarsi, sperando di riuscire a trovare quanti più donatori possibili. L’Iowa è vicina e, se tutto dovesse andare secondo i piani, il 3 marzo, giorno in cui 14 stati andranno a scegliere il loro candidato alla Casa Bianca, ci si troverà in una situazione di stallo. Bloomberg auspica, ovviamente, di poter trarre vantaggio da questa indecisione che aleggia sul suo partito, proponendo la sua figura come l’unica in grado di sconfiggere DJT.

Eppure, non è ancora chiaro come gli elettori identificheranno la figura di Bloomberg. Ciò che invece appare limpido è la difficoltà che il magnate incontrerà durante questo anno che lo avvicina alla data delle elezioni. Come dimostra il sondaggio condotto da Morning Consult che vedete qui sotto, nella già difficile scelta fra un candidato più moderato e uno più radicale, difficilmente il miliardario riuscirà a spuntarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il rischio concreto è quello che questa candidatura possa ritorcersi contro Bloomberg, sia perché in una sfida fra miliardari renderebbe meno appassionante la campagna elettorale, sia perché è quasi univoca la voce dell’elettorato democratico nel volere un candidato il più lontano possibile da Trump, cosa che, chiunque fra Biden, Saders e Warren, realmente rappresenta.

Insomma, in una metaforica analisi costi-benefici della candidatura di Micheal Bloomberg, sembra, in prima istanza, che i costi siano più alti dei profitti e che, questa tempesta pronta a scatenarsi sulla corsa alla Casa Bianca si possa rivelare, in realtà, una nuvola di fumo.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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