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Politica

Chi perde le elezioni si aggrappa alle fake news

Il tema delle fake news ci sta particolarmente a cuore, a tal punto da essere tra i principali motivi che ci hanno spinti a dare vita al progetto di Orwell: questo per dire che lo reputiamo un problema troppo serio per essere affrontato con superficialità se non, come capita spesso, con l’approccio capzioso di chi pensa di potersene servire screditare chiunque la pensi diversamente.

Per questo, non appena ho letto la proposta di legge con cui il gruppo di Italia Viva ha chiesto l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta «sulla diffusione seriale e massiva di contenuti illeciti e di informazioni false attraverso la rete internet, le reti sociali telematiche e le altre piattaforme digitali» ho contattato l’On. Maria Elena Boschi per farle alcune domande specifiche nel merito della questione, ma senza ricevere risposta.

Nonostante questo, siccome riteniamo fondamentali correttezza e completezza d’informazione, abbiamo deciso di pubblicare l’intervento integrale con cui l’On. Boschi ha presentato il provvedimento alla Camera, in modo tale che possiate leggere e giudicare voi stessi, parola per parola, le motivazioni che hanno spinto lei e il partito fondato da Matteo Renzi a pensare che una commissione composta da 40 parlamentari possa davvero riuscire ad «accertare eventuali violazioni, manipolazioni o alterazioni di dati personali ovvero di circostanze fattuali riferibili a cittadini italiani, funzionali a condizionare illecitamente o illegittimamente l’esito delle consultazioni elettorali o referendarie svoltesi nei cinque anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge o, comunque, a manipolare indebitamente il consenso elettorale» nonché ad «accertare le responsabilità relative alla diffusione seriale di notizie false e alle eventuali violazioni di dati personali, i mezzi e i modi attraverso cui sono commessi gli abusi e i soggetti in essi coinvolti, nonché le motivazioni e i fini di tali comportamenti, e verificare se questi atti siano riconducibili a gruppi organizzati o, comunque, finanziati da Stati esteri allo scopo di manipolare l’informazione e di condizionare l’opinione pubblica.»

Ora, però, dobbiamo metterci d’accordo, perché il confine tra giusto e sbagliato, così come quello tra vero e falso, è più che sottile; per questo avrei domandato all’On. Boschi chi decide quali tentativi di condizionamento dell’opinione pubblica siano “legittimi” e quali invece no. A tal proposito prendiamo proprio il referendum costituzionale del 2016: sapete quali sono, a oggi, gli unici tentativi di condizionare l’esito del voto ad opera di Stati esteri? Quelli a favore del Sì di Angela Merkel e Barack Obama:

A Maria Elena Boschi avrei anche chiesto quali sono i motivi che spingono lei e il partito di Matteo Renzi a dubitare di quanto dichiarato dai vertici dell’intelligence italiana a seguito della boutade dell’attuale candidato alla nomination democratica Joe Biden, che l’8 dicembre 2017 dichiarò che «il Cremlino interferì in Italia sul referendum costituzionale», salvo poi essere categoricamente smentito da Mario Parente e Alberto Manenti, rispettivamente a capo di Aisi e Aise, i quali assicurarono che «c’è un attento monitoraggio da parte dell’intelligence sul rischio di ingerenze straniere sulle consultazioni elettorali italiane. E, finora, non ci sono evidenze su quanto denunciato dall’ex vicepresidente Usa Joe Biden a proposito di interferenze russe nella campagna per il referendum dello scorso anno sulla riforma costituzionale.»

Epilogo che fa il paio con quello toccato al Russiagate americano, che è sfociato in due anni di indagini sulle presunte interferenze russe nelle elezioni, che si sono tradotte in fiumi d’ichiostro, milioni di tweet e post sui social, migliaia di servizi televisivi e addirittura un premio Pulitzer a New York Times e Washington Post per «l’interesse pubblico delle loro inchieste, che hanno contribuito far conoscere agli americani la collusione tra la campagna di Trump e le autorità russe». Peccato che l’esito delle indagini sia stato negativo, con un «no collusion» grande quanto una casa a mettere fine ai giochi.

E che dire dei 1.500 tweet contenenti fake news diffusi dai russi a sostegno di Lega e Movimento 5 Stelle presenti nell’elenco pubblicato il 31 luglio 2018 da FiveThirtyEight? Federico Fubini lanciò l’allarme dalle colonne del Corriere della Sera titolando «Tweet populisti dalla Russia sulla politica italiana. Come negli Usa», insomma, roba grossa. Peccato, però, che i tweet russi in questione fossero… 4. Sì, avete letto bene, stiamo parlando di 4 tweet 4, come riportato da Wired. Peraltro Fubini è lo stesso che qualche mese dopo fu travolto dalle polemiche per aver nascosto la notizia che in Grecia, a causa della crisi, morirono 700 bambini. Motivo? Non dare argomenti ai populisti.

Esempi che evidenziano come la richiesta di tali provvedimenti provenga sempre da chi, avendo perso le consultazioni popolari, non si rassegna all’idea di essere stato bocciato, dimostrandosi doppiamente poco avveduto, poiché da una parte asserire che milioni di elettori si lascerebbero “manipolare” dai post sui social equivale ad avere una scarsa considerazione della loro intelligenza, e dall’altra ritenere di poter intervenire in Rete con atti di tipo censorio per affermare il proprio pensiero è, per dirla con Renzi, come pensare di fermare il vento con le mani.

Anche perché, tornando al referendum del 2016, le ragioni della sconfitta sono talmente cristalline da non lasciare veramente alcuno spazio a dubbi di sorta, e sia Matteo Renzi che Maria Elena Boschi farebbero bene a prenderne atto facendone tesoro per il futuro, a cominciare dalla scelta del campaign manager – l’americano Jim Messina, che veniva dalla sconfitta della Brexit – per arrivare alla scelta suicida di personalizzare la competizione: i video che vennero poi viralizzati in rete con loro due che dicevano che avrebbero lasciato la politica in caso di sconfitta erano veri, non deepfake montati dagli hacker di Putin.

Per quanto riguarda i contenuti diffamatori bastano e avanzano le leggi vigenti – che in laddove vengano accertate responsabilità è sacrosanto applicare – mentre per ciò che concerne l’opinione pubblica, è bene rammentare come la propaganda non sia certo nata con il Web, e che pensare di poter decidere aprioristicamente quali opinioni debbano avere diritto di cittadinanza e quali altre no è l’esatto contrario di libertà e democrazia. Cancellare post contenenti idee oggi è come bruciare i libri ieri.

Le idee si combattono con le idee, e i voti si conquistano tra la gente; piuttosto, facciamo in modo che i bambini si abituino a leggere riportando i quotidiani in classe fin dalle elementari, ma il Ministero della Verità lasciamolo tra le pagine di 1984, ché di similitudini tra il capolavoro di Orwell e la realtà, ahinoi, ce ne sono già troppe.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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