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POLITICA USA

Il giudice Kavanaugh nel mirino Dem

Brett Kavanaugh, giudice della Corte Suprema nominato da Donald Trump e confermato dal Senato il 6 ottobre 2018 con uno striminzito 50-48, è ancora sotto accusa per molestie sessuali.

Il tutto nasce dal libro The education of Brett Kavanaugh, a cura di Robin Pogrebin e Kate Kelly (le autrici dell’articolo pubblicato sul New York Times). L’accusa è simile a una precedente mossa nei confronti del giudice. Max Stier, sempre secondo quanto riferisce il New York Times, era un compagno di classe di Kavanaugh a Yale, quando vide «Kavanaugh con i pantaloni giù in un dormitorio ubriaco, dove gli amici gli spingevano il pene nella mano di una studentessa».

Kavanaugh era già stato accusato durante le audizioni di conferma al Senato da Christine Blasey Ford e da Deborah Ramirez, con due storie differenti ma con lo stesso finale.

La Blasey Ford testimoniò che il giudice aveva provato a violentarla; la Ramirez, invece, rivelò ai giornalisti che Kavanaugh, ai tempi dell’Università, mentre si trovavano in un dormitorio, si abbassò i pantaloni e la toccò con il pene.

Come è noto, le due accuse si tradussero in un nulla di fatto da un punto di vista politico e giuridico ma colpirono fortemente l’opinione pubblica, causando una serie di reazioni contro il giudice. La Ramirez non testimoniò davanti al Senato e Kavanaugh bollò l’accusa come falsa, affermando che «se la storia fosse stata vera, non si sarebbe parlato d’altro nel campus». Al contrario della Ramirez, la dottoressa Blasey Ford testimoniò e il giudice rispose con una memoria difensiva aggressiva e rabbiosa.

Immediate, come ovvio, le reazioni in casa democratica. Tra queste va citata, per prima, quella di Kamala Harris: «Brett Kavanaugh ha mentito al Senato e, soprattutto, al popolo americano. Deve essere messo sotto accusa». La senatrice ha addirittura definito le audizioni del giudice come una “farsa”, sostenendo che «la sua presenza (di Kavanaugh, ndr) è un insulto alla ricerca di verità e giustizia».

Le altre reazioni, da parte dei principali candidati alla Casa Bianca non si sono fatte attendere, chiedendo l’impeachment del giudice e, in alcuni casi, addirittura una indagine nei confronti del Dipartimento di Giustizia. Il motivo principale? La mobilitazione dell’elettorato democratico che non vede di buon occhio il giudice.

A prendere le difese di Kavanaugh, ci ha pensato, come sempre, il Presidente in prima persona che ha attaccato i media definendo il giudice come «un uomo innocente attaccato in maniera orribile» che dovrebbe iniziare a «citare in giudizio per diffamazione chiunque lo accusa». A fargli eco Ted Cruz, senatore del Texas e candidato alle primarie repubblicane del 2016, il quale ha definito Kavanaugh «l’ossessione della sinistra».

Storicamente parlando, l’unico caso di impeachment di un giudice della Corte Suprema risale al 1803. Furono otto i capi d’accusa contro l’allora giudice Samuel Chase: gestione e condotta dei processi, mancate dimissioni quando era membro di una giuria, errori procedurali e, infine, le opinioni personali del giudice stesso. La verità era la seguente: Thomas Jefferson era estremamente allarmato del crescente potere della magistratura che avveniva attraverso la richiesta di un controllo giurisdizionale esclusivo.
La Camera dei Rappresentanti decise allora, con 73 voti favorevoli e 32 contrari, di procedere nei confronti di Chase. Il Senato iniziò il processo di impeachment il 9 febbraio 1805, con il vicepresidente Aaron Burr in qualità di presidente e John Randolph – promotore della richiesta – a capo dell’accusa. Il Senato, il 1 marzo 1805, votò sull’impeachment ma essendo richiesti i due terzi (all’epoca su 34 senatori presenti la maggioranza era di 23), non riuscì ad accusare Chase.

L’assoluzione di Chase, ha creato un precedente storico che molti ritengono abbia garantito maggiormente l’indipendenza della magistratura. L’ex presidente della Corte Suprema, William Rehnquist, nel suo libro Grand Inquests: The Historic Impeachments of Justice Samuel Chase and President Andrew Johnson, ha notato come alcuni senatori ebbero difficoltà a condannare Chase, nonostante l’ostilità nei suoi confronti: «tutte le accuse mosse nei confronti di giudici federali da allora, ma mai della Corte Suprema, sono state basate su accuse di cattiva condotta legale o etica, non su prestazioni giudiziarie, anche se – scrive Richard Lillich nel suo The Chase Impeachment– tutti i giudici dopo il caso Chase sono stati più cauti, per evitare la comparsa di una partigianeria politica».

Tornando a Kavanaugh, due cose appaiono chiare: la prima è la mossa politica della candidata democratica Harris, volta a rafforzare la sua candidatura, essendo stata Procuratore Generale della California. La seconda riguarda la macchinazione creata contro Kavanaugh. Dalla sua nomina ad oggi, nessuna conferma. La sola dottoressa Blasey Ford ha testimoniato davanti al Senato e, oggi, le accuse, stando alle ultime notizie, con correzione parziale della storia da parte del New York Times, vedono una rettifica che ha scatenato l’ira di Donald Trump: «l’ex studentessa non ha voluto essere intervistata e i suoi amici affermano che lei non ricorda nulla di questo incidente». Le autrici dell’inchiesta hanno immediatamente affermato che, nel loro libro, questa precisazione è contenuta mentre, nell’articolo, questo particolare (non di poco conto) è stato omesso durante la revisione.

Il Washington Post ha rivelato che il senatore democratico del Delaware, Chris Coons, aveva queste informazioni già nell’ottobre del 2018 – stesso periodo in cui Kavanaugh è stato confermato dal Senato – e i funzionari dell’FBI stavano conducendo un nuovo controllo supplementare sul background di Kavanaugh, prima del suo voto di conferma. Stando a quanto si apprende dal Post, anche i due principali senatori del comitato giudiziario dell’epoca – il presidente Chuck Grassley (Repubblicano / Iowa) e il ranking member Dianne Feinstein (Democratico / California) – erano a conoscenza della lettera di Coons all’FBI, perché recapitata anche a loro.

La storia, dunque, risale almeno allo scorso ottobre eppure, in seno al Senate Judiciary Committee, nessuno l’ha ritenuta meritevole di menzione durante le audizioni.

Assunto che è l’FBI a dover procedere, magari aprendo un’inchiesta se ne sussistono i motivi e non facendo ripetuti controlli sulla storia di un candidato alla Corte Suprema, appare strano che una lettera del genere non venga neppure menzionata nel corso di una serie di audizioni.

Per la prima volta nella storia, dunque, un giudice della Corte Suprema viene accusato di molestie sessuali. Eppure, oggi, chiedere l’impeachment sembra esagerato, sia perché non verrebbe concesso, sia perché Kavanaugh potrebbe uscirne addirittura rafforzato (e insieme a lui, Donald Trump).

Piuttosto bisogna chiedersi perché è stato nominato alla Corte Suprema, ma la risposta, anche in questo caso, appare ovvia. Neil Gorsuch – l’altro giudice nominato da Trump – è stato combattuto ferocemente dai democratici, ma di scandali o presunti tali, sulla sua persona, nemmeno l’ombra. Infine la vera domanda da porsi è la seguente: Kavanaugh è adatto a fare il giudice della Corte Suprema?

Le accuse di molestie –  o, in generale, le attività sessuali –  non rappresentano certo una novità nella politica americana. Bill Clinton, per lo scandalo Lewinsky, rischiò di lasciare lo studio ovale con una procedura di impeachment. A Gary Hart le implicazioni di una sua relazione extraconiugale con Donna Rice Hughes costarono una presidenza. A Donald Trump, invece, le svariate accuse e le frasi sessiste non hanno minimamente scalfito la popolarità.

Mai, però, nella storia americana ci si era trovati davanti a simili accuse nei confronti di un giudice della SCOTUS in carica.

Nella speranza che le sentenze arrivino dagli organi deputati a vigilare e non dai giornali, ci si deve comunque interrogare sul senso delle parole, rilasciate a Time Magazine, da William O. Douglas, il giudice che ha servito più a lungo nella Corte: «il grande potere della Corte è la sua capacità di educare, di fornire una guida morale».

It’s enough?

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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