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POLITICA USA

Dibattito democratico senza colpi da ko

Il Dibattito democratico del 12 settembre è stata la prima occasione in cui i dieci maggiori contendenti per la nomination si sono ritrovati tutti sullo stesso palco con la prospettiva, ormai scontata, che uno di loro dovrà sfidare Donald Trump nel novembre 2020.

Il front runner Joe Biden – saldamente in vantaggio nei sondaggi – è stato l’osservato speciale della serata. L’ex vicepresidente di Obama – appare logico pensare che la sua campagna sia, quindi, legata a doppio filo all’ex presidente – ha iniziato molto bene, perdendo però qualche colpo nel finale.

Come è noto, i maggiori candidati democratici alla presidenza hanno idee diverse su diversi punti, tra cui l’assistenza sanitaria. Lo zoccolo duro dell’elettorato democratico ritiene questo punto come il principale da affrontare, ed eventuali spaccature interne o risposte non adeguate alle aspettative costituirebbero un problema per il nominato.

Lo scontro è, quindi, fra le posizioni centriste di Biden – accompagnato in questa lotta da Amy Klobuchar – contro quelle più a sinistra di Sanders e Warren. Biden e la senatrice del Minnesota, ritengono che per estendere la copertura sanitaria a chi ne è sprovvisto sia necessario aggiungere una opzione pubblica all’Affordable Care Act voluto da Obama. Entrambi hanno attaccato i colleghi senatori del Vermont e del Massachusetts, affermando che un piano Medicare for All costituirebbe un disastro per le finanze pubbliche e che le assicurazioni private verrebbero così spazzate via dal settore sanitario. La Warren, però, ha ribattuto affermando di «non aver mai incontrato nessuno che fosse davvero contento della sua compagnia assicurativa privata».

Nel dibattito generale, e su questo punto specifico, Kamala Harris ha attaccato duramente Donald Trump, affermando che vuole distruggere la legge voluta da Obama. Curiosa, e non poco, la tattica della senatrice californiana: nei tre dibattiti cui ha partecipato, ogni volta ha scelto un avversario diverso. Prima Biden, poi Trump, passando per attacchi diretti nei confronti degli altri competitor a seconda dell’argomento trattato.

In sintesi: primo dibattito sorprendente, secondo deludente e terzo completamente diverso dai precedenti (diciamo che prende la sufficienza). Verrebbe da chiedersi se più che tattica non sia il caso di parlare di perenne indecisione. Dal primo dibattito a oggi, dopo un repentino salto nei sondaggi verso le posizioni di testa, la Harris è scivolata nuovamente indietro, passando dalle lodi al dover assistere all’ascesa dei suoi colleghi. Insomma, da votata all’attacco a  probabile maestra del catenaccio per salvare il salvabile, con la necessità di dover salire in contropiede – calcisticamente parlando – cercando di azzeccare qualche buon cross, ma, per parafrasare Boškov, buon allenatore dovrebbe sapere che si rischia solo di prendere gol in contropiede.
Non a caso, la Harris, nelle ultime ventiquattro ore ha chiesto l’impeachment per Brett Kavanaugh, il giudice della Corte Suprema nominato da Trump. Ma questa è un’altra storia.

Giocare su più fronti e con attacchi duri e mirati può aprire troppi campi di azione, ma il rischio potrebbe essere ripagato dal successo finale. Non sempre, però, le aspettative corrispondono alla realtà: Joe Biden, infatti, rimane saldamente avanti nei sondaggi per la nomination democratica.

Una menzione speciale la merita il “golden boy”, Beto O’Rourke. Dopo aver rilanciato due volte la sua campagna per la presidenza, finalmente ha avuto la sua migliore serata. Il suo modo di parlare, le emozioni e il linguaggio utilizzato sono stati gli stessi usati nella sua sfida a Ted Cruz, che lo ha portato a un centimetro dalla gloria. Alcuni suoi colleghi – in merito alla sparatoria di El Paso e all’attivismo di O’Rourke in merito – si sono complimentati con lui, ma questo non basterà a farlo risalire nei sondaggi e a fargli giocare un ruolo di primo piano nella lotta per la Casa Bianca.
In generale, dunque, impatto positivo sul dibattito ma nessun movimento positivo nei sondaggi e rischi altissimi qualora dovesse decidere di correre per il Senato (una simile sparata, oggi, non gli verrebbe perdonata).

Se è assolutamente vero che Joe Biden non intende distaccarsi di un millimetro dal “suo” Barack Obama, è altrettanto vero che gli altri candidati ne rivendicano anch’essi una parte. Julián Castro – Secretary of Housing and Urban Development durante l’amministrazione Obama – ha attaccato duramente Biden sull’assistenza sanitaria affermando che il suo piano lascerebbe oltre dieci milioni di americani senza copertura e, rivolgendosi sempre all’ex senatore del Delaware, ha detto: «io sono fedele all’eredità di Barack Obama, tu no».

Alla resa dei conti, tanto rumore per nulla e Joe Biden sarà quasi certamente il candidato alla presidenza per i democratici.

Donald Trump ha tanti, forse troppi, motivi per sorridere, a poco più di un anno dalle elezioni.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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