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Climagate: tutto ciò che Greta non sa (o non dice)

Due sono le certezze mediatiche legate all’estate: i servizi televisivi in cui si consiglia di bere molta acqua, vestire leggeri e non uscire nelle ore più calde, soprattutto per anziani e bambini, e gli allarmi sul riscaldamento globale.

La prima notizia, in fondo, va annoverata tra i messaggi positivi.
Annuncia, per molti lavoratori, l’avvio della bella stagione e contemporaneamente il countdown verso le meritate ferie.

Il secondo, invece, accompagnato da studi, rapporti, interviste, immagini di ghiacciai che si sciolgono e contrastato da ardimentose ragazzette in barca a vela, sembra, ogni anno, predire un futuro sempre peggiore per il nostro pianeta.
Anche il ministro Sergio Costa, ha trovato il tempo per rilevare la necessità “di fare delle azioni concrete” a tutela dell’ambiente.

Tuttavia, l’allarme più autorevole è stato lanciato, recentemente, dall’Onu attraverso l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.

Il rapporto, approvato a Ginevra da 195 paesi, non lascia spazio a fraintendimenti: l’aumento delle temperature, lo sfruttamento sconsiderato di terreni e risorse idriche deve essere considerato ben più di un semplice ammonimento.

La colpa dell’emergenza, manco a dirlo, va attribuita all’uomo e alla gestione dissennata di un comparto, quello agro-alimentare, che è causa della produzione eccessiva di ossido d’azoto (terreni agricoli) e metano (fattorie e allevamenti).
Insomma, la smodata richiesta di “carne rossa”, proporzionalmente in aumento, se messa in relazione con la crescita della popolazione mondiale, sta producendo danni gravissimi.

In sintesi, l’eccessiva assunzione di proteine animali, in pratica raddoppiata dagli anni Sessanta, produce un impatto altamente negativo sul pianeta.
Per questo motivo, con l’utilizzo di combustibili fossili, l’aumento della deforestazione e degli allevamenti intensivi, si sono accumulate nell’atmosfera esagerate emissioni di “gas serra”.

Su questo passaggio concordano, ormai unanimemente, una nutrita truppa di esperti (biologi, fisici, matematici, oceanografi e chi più ne ha, più ne metta) e noi, peccatori, non possiamo far altro che cospargerci il capo di cenere per i nostri errori.
Un grido di paura, quello lanciato dal rapporto, alimentato pure dalla Coldiretti, preoccupata sia dal quadro generale illustrato dal documento redatto dall’Ipcc, sia dagli scenari apocalittici ipotizzati per l’agricoltura italiana.

Sulla scorta di queste informazioni, insomma, dovremmo tutti orientarci verso abitudini, in primo luogo alimentari, più virtuose, avere maggior cura del territorio, delle risorse e ridurre gli sprechi.

Bene.
Se la validità “filosofica” del documento presentato dall’Ipcc non è assolutamente in discussione, qualche timore potrebbe sorgere dai dati in esso contenuti.
Perché?

Per capirlo è necessario riportare indietro le lancette della storia di una decina d’anni…

Sgombriamo subito il campo da equivoci: tra tutti i documenti pubblicati da Wikileaks, quelli inerenti al cosiddetto “Climagate”1 (2009) vanno annoverati tra i pochi a non aver dimostrato – questa almeno la decisione finale delle autorità inglesi – delle precise responsabilità rispetto all’operato di alcuni scienziati dell’Università East Anglia, accusati di aver falsificato dati relativi alle mutazioni climatiche.

Eppure, qualche dubbio rimane.
Andiamo con ordine.

Cos’è il Cru? Il Centro per la ricerca climatica dell’università dell’East Anglia di Norwich (Cru, appunto, fondato nel 1971), è uno dei principali team di ricerca che favorisce, attraverso il lavoro d’analisi dei dati, la redazione del rapporto Ippc di cui abbiamo già parlato.
Un lavoro così prezioso, quello intessuto dall’Ipcc, da meritare nel 2007, insieme all’ex vicepresidente americano Al Gore, il premio Nobel per la pace.

Il fulmine a ciel sereno, che illumina il mondo della comunità scientifica internazionale, deflagra nel 2009 quando hacker (probabilmente russi) entrano in possesso di corrispondenza privata scambiata via e-mail dai membri del Cru.
I documenti sottratti (che trovate nella nota a piè di pagina, ndr) sono stati pubblicati e resi pubblici dalla piattaforma di Julian Assange, Wikileaks, e sottendono a presunte alterazioni di dati legati alle conseguenze prodotte dal riscaldamento globale.

Infatti, dall’analisi dei messaggi di posta elettronica emergerebbero “arbitrarie e dubbie manipolazioni dei dati climatici, rilevati dalle stazioni di osservazione sparse sul pianeta, al fine di attribuire all’uomo un ruolo maggiore sui cambiamenti climatici rispetto a quello mostrato dai dati ufficiali”.2

Lo scandalo, rilanciato con forza da importanti testate internazionali tra cui The Telegraph, The Guardian, Bbc e Der Spiegel, coinvolge importanti membri del centro di ricerca inglese. A farne mediaticamente le spese, furono soprattutto, Phil Jones (responsabile del Cru), Keith Briffa (Cru), Tim Osborn (Cru) e Mike Hulme (direttore del Tyndall Centre for Climate Change Research).

L’accusa nei confronti del Cru e di alcuni suoi autorevoli membri, poggiava principalmente su tre direttrici: manipolazione dei dati atta a favorire la teoria dell’Anthropogenic Global Warming (Agw, che vede nell’uomo la principale causa del riscaldamento globale); influenzare il parere dell’attività scientifica internazionale in favore della suddetta teoria; dribblare le leggi inglesi e americane riguardanti la trasparenza della ricerca scientifica sul clima.3

Proprio quest’ultimo elemento ha contribuito, più degli altri, ad alimentare la polemica.
La causa va individuata nella riluttanza da parte del Cru a esibire i dati su cui erano fondati i modelli di ricerca, disattendendo (almeno in parte) il dispositivo normativo Foia (Freedom of Information Act).

Ad appesantire la vicenda ha contribuito proprio il Cru (uno dei pochi dataset di riferimento al mondo) responsabile della distruzione dei “dati grezzi” dell’epoca relativi alle temperature. La scusa? Mancanza di spazio determinata dal trasloco nella nuova sede.

Ovviamente, ad accrescere i sospetti è anche l’enorme mole di sussidi di cui beneficia il Cru per la sua attività di ricerca che potremmo sintetizzare così: più alto si mantiene l’allarme, più rilevanti sono i finanziamenti.4

Tuttavia, come abbiamo anticipato, l’indagine indipendente condotta da Sir Muir Russel nei confronti del Cru non porta a nulla e gli scienziati sono stati tutti scagionati dall’accusa di aver modificato i dati riconducibili al cambiamento climatico (“nonostante i climatologi non abbiano mostrato un livello di trasparenza adeguato”5).

A macchiare l’esito positivo della sentenza dalla commissione Russel resta solo l’accusa di conflitto d’interesse per alcuni di loro, poiché in stretti rapporti con aziende professionalmente interessate al tema del riscaldamento globale.

L’episodio, ormai riposto nel cassetto della memoria, ha restituito – soprattutto al professor Phil Jones, capo del gruppo di ricerca – la dignità perduta e una nuova carriera professionale. Eppure, dallo stesso oblio, riemerge insistente, non so perché, una frase di Noam Chomsky:

«Ogni potere ha necessità di spaventare la sua popolazione, e un modo di farlo consiste nel coprire di mistero la sua attività».

note
1 https://wikileaks.org/wiki/Climatic_Research_Unit_emails,_data,_models,_1996-2009
2 Ludovica Amici, “Wikileaks, il libro dei fatti che non dovevate sapere”, Editori Riuniti
3 Ludovica Amici, “Wikileaks, il libro dei fatti che non dovevate sapere”, Editori Riuniti
4 Bret Stephens, “Climagate: follow the money”, The Wall Street Journal

5 Ludovica Amici, “Wikileaks, il libro dei fatti che non dovevate sapere”, Editori Riuniti

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