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POLITICA USA

“Tornate a casa vostra”: l’attacco di Trump alle deputate dem che divide gli USA

“Dovrebbero tornare da dove sono venute”. La scintilla, come sempre, è scoccata con poche parole in un tweet. Donald Trump ha deciso di inaugurare la sua campagna per il 2020 prendendo posizione contro le quattro deputate democratiche Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib, Ayanna Pressley e Ilhan Omar – le prime tre nate in America, l’ultima nata a Mogadiscio, tutte accomunate dal fatto che le loro famiglie sono immigrate – definite “la squadra”.

Il continuo alternarsi di tweet fra i diretti interessati, come avviene in questi casi, ha trovato dei paladini esterni alla questione. Il primo è stato Lindsey Graham, senatore repubblicano della Carolina del Sud, nonché uno dei principali alleati di Trump a Capitol Hill e, aggiungerei, abbastanza spaesato dopo la morte del suo mentore e fraterno amico John McCain. Graham ha definito la “Ocasio e la sua banda” come delle comuniste che “odiano Israele e odiano il nostro Paese”. Senza fare troppi giri di parole: John Edgar Hoover oltre cinquant’anni fa definì il comunismo come “un morbo, capace di corrompere l’anima, trasformando l’uomo più gentile in un tiranno feroce e malvagio”, forse, troppo anche per gli americani che, il comunismo lo hanno combattuto con tutte le loro forze. Se corsi e ricorsi storici ritengono ancora oggi di doversi intrecciare per rievocare vecchi demoni del passato, allora Donald Trump ha deciso di ritornare indietro di altrettanti anni e puntare sul razzismo. “Se avete problemi con il nostro Paese, potete tornare da dove siete venute” ha tuonato il Presidente dopo il primo scambio di botta e risposta. Le deputate hanno replicato passando dalla procedura di impeachment al definire questo scontro come un programma da nazionalisti bianchi. Ciò che rende forti queste donne agli occhi dell’opinione pubblica e dei loro concittadini che, per inciso, le hanno votate e legittimate, è proprio il loro retaggio, oltre la loro preparazione. E mentre gli opinionisti discutono sull’impatto di questo scontro sulla rielezione del Presidente, senza preoccuparsi di ciò che succede in casa democratica, appare necessario aggiungere che in poco meno di 48 ore dal primo tweet, la Camera dei Rappresentati ha condannato i tweet di Trump, definendoli come “razzisti”.

Questa, però, è una vittoria finta. Su questo voto, sono stati i repubblicani ad avere la meglio. Il GOP ha votato convintamente contro e le defezioni sono state solamente quattro. In più, appare necessario ricordare, come ha fatto il Presidente che, per la prima volta dal 1984, lo Speaker viene richiamato ufficialmente per aver violato le regole della Camera.

Anche un Kennedy repubblicano, quello che rappresenta la Louisiana in Senato, ha colto al balzo la palla concernente l’unità del suo partito nell’altro ramo del Parlamento: “come loro possono criticare il nostro Paese poiché pensano che sia marcio dall’origine, allora anche io posso definirle delle estremiste di sinistra”. Il tutto mentre il 18 luglio, la Camera votava per bloccare la richiesta di impeachment presentata da Al Green, proprio a seguito dei tweet contro le sue colleghe democratiche. E, in questo caso, i numeri danno troppa forza al Presidente. Per tentare di calmare gli animi, le deputate Omar e Tlaib hanno organizzato un viaggio istituzionale in Israele e Palestina non senza qualche pensiero di troppo da parte del governo israeliano che, secondo alcune fonti, non è affatto felice delle posizioni delle deputate, considerata la storica alleanza fra Israele e Stati Uniti.

Anche Michelle Obama ha preso posizione, definendo l’America grande per la sua diversità. Il tutto contornato da quei “send her back” intonati nei confronti della Omar, l’unica delle quattro a non essere nata sul suolo americano, sui quali il Presidente ha chiaramente detto di non essere d’accordo.

E mentre il popolo si divide su questa storia, fra chi ritiene che il Presidente abbia fatto bene e chi invece lo condanna apertamente, agli occhi di molti non è risultato il vero motivo che ha spinto Trump a scrivere questi tweet: i bianchi razzisti. Il Presidente sa benissimo che per vincere nel 2020 deve confermare gli straordinari dati ottenuti nel 2016 e, qualora il candidato fosse più a sinistra di quel Joe Biden che è ancora avanti nei sondaggi, allora uno dei più importanti canali per rinsaldare la presidenza sarebbe quello di riaccendere la fiammella razzista nei cuori dei bianchi nazionalisti.

Se i paragoni con George Wallace non si sono sprecati, occorre anzitutto ricordare che Wallace non era il “perdente più influente del XX secolo”, come i suoi biografi lo definiscono, bensì un razzista che al costo di una poltrona più importante e della sua stessa vita, si “incatenava”, metaforicamente parlando, davanti l’Università dell’Alabama e successivamente in altre scuole pubbliche per colpa del suo ego smisurato e della sua sete di potere. Forrest Gump docet.

Gli ultimi sondaggi su questa lunga, interminabile ed estenuante storia raccontano come molti americani credono che “le persone di colore siano meno patriottiche di quelle bianche”. Michael Tesler, professore all’University of California ha affermato che, a seguito di studi psicologici, “essere americano è implicitamente sinonimo di essere bianco”. Da ciò deriva che, inconsciamente, si reputano i neri e gli asiatici come meno americani.

E questo Trump lo sa, perché alla fine, a lui fa comodo sfruttare questa occasione. Perché chi ancora oggi crede che l’immigrazione negli Stati Uniti sia solo un problema ideologico si sbaglia. L’immigrazione è stata, è e sarà una questione economica. Anche Trump ha origini tedesche. Il cognome era “Trumpf”, ed è riportato variamente come “Drumb, Dromb, Tromb, Tromp, Trum, Trumpff”, negli archivi di Kallstadt, un paesino di poco più di mille anime in Renania. Non per questo, il suo successore, chiederà di rispedirlo a casa. Non per questo, Barack Obama – e questo è costato una presidenza a John McCain – è stato eletto alla Casa Bianca. Non per questo, perché in un certo senso, tutti gli americani sono immigrati. Tranne i nativi americani.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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