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L’occhio del Grande Fratello (3): Face App ci riconoscerà per strada?

Nata nel 2017 ma “esplosa” solo in queste settimane a causa di una challenge, Face App ha conquistato la maggior parte dei nostri amici sui social network anche grazie al suo utilizzo semplice e veloce. Scarichiamo l’app, diamo il consenso all’utilizzo dei dati, scegliamo una foto, attendiamo qualche secondo, et voilà, ecco come saremo tra qualche decina di anni. L’aspetto più divertente è sicuramente quello di condividere il risultato di questo trucchetto con i nostri contatti confrontandolo con le foto attuali.

Ci sono però due passaggi, fra quelli appena citati, che hanno fatto insospettire.
Prima di tutto l’informativa sulla privacy. Abbiamo letto un po’ ovunque le ambiguità che l’app presenta in materia di privacy. Carente, incompleta, priva di riferimenti al Privacy Shield in vigore tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea e al GDPR, attivo da più un anno.

Inoltre, pare che i dati a cui l’app abbia accesso siano ben altri oltre la semplice foto che viene caricata: nostra posizione rilevata dal GPS, modello di smartphone he usiamo, dettagli specifici sull’immagine (razza, età, colore di capelli, tratti psicosomatici).

Avete presente il caricamento della foto? Un semplice cerchio che si riempie e che, in pochi secondi, ci restituisce il nostro viso in versione più “matura”. È in quel momento che la nostra foto abbandona il telefono e viene trasferita sui server della società che ha sviluppato Face App, la Wireless Lab OOO. La foto originale non rimane nel nostro smartphone, che non sarebbe in grado di elaborare un’immagine in così poco tempo e con una resa pressoché perfetta.

Dove sono localizzati i server che la elaborano? In Russia? Negli Usa? Da qualche altra parte del mondo? Non ci è dato saperlo. Le nostre foto giacciono, quindi, su server non del tutto identificati, con tutte le conseguenze che ne potrebbero scaturire. A riguardo le ipotesi si sprecano: intelligenza artificiale, riconoscimento facciale, controllo sociale, algoritmi che necessitano di essere allenati e nutriti per perfezionarsi sempre di più?

Sembrano gli elementi per la trama di uno di quei film su un futuro distopico che ogni anno l’industria cinematografica ci propone. La trama, però, inizia sempre quando i giochi sono fatti, non ci viene mai raccontato il lento e lungo processo che ha portato la società a essere soggiogata al controllo dei poteri inumani.

Forse Face App non ci renderà “schiavi” ma certo contribuirà a far perdere la concezione stessa di privacy. Ancora oggi, il più grande valore in cui crediamo è la trasparenza, l’assenza di segreti: “non ho nulla da nascondere”, pensiamo, mentre condividiamo e pubblichiamo di tutto sulla nostra bacheca senza porci nessuna domanda. Però pensieri, preferenze e gusti potrebbero essere trasformati in qualunque cosa, da informazioni utili ad arricchire le multinazionali a voti per un candidato del Grande Fratello.

Forse, come prima cosa dovremmo incominciare a lavorare su noi stessi per acquisire un altro valore: la consapevolezza.

(3-Fine)

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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