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Speciale Wikileaks

L’incrocio tra Chelsea Manning, Julian Assange e Wikileaks

Ad avviare il rapporto tra Assange e Manning sarà un “girato” del luglio 2007, un po’ sgranato, della durata di 39 minuti.
Nell’immensa dote di documenti confidenziali cui aveva accesso, Manning scopre, infatti, un video sconvolgente: mostra un elicottero da guerra “Apache AH 64”, in volo di ricognizione alla periferia di Baghdad, sparare all’impazzata (da un chilometro di altezza) verso dodici civili inermi. Tra loro, anche due giornalisti dell’agenzia di stampa “Reuters”: Saeed Chmagh e Namir Noor-Eldeen. Quest’ultimo, ventiduenne fotografo di guerra.

A traumatizzare l’ex analista fu soprattutto il commento di uno dei piloti coinvolti nel massacro. Avvertito, via radio, della presenza di alcuni ragazzi tra i feriti, chiosò gelidamente: “È colpa loro se portano i ragazzini in battaglia”.1

Frame dopo frame, dal filmato emerge tutta la crudeltà della guerra, il cinismo e la falsità di cui è intrisa l’ambigua distinzione tra “buoni e cattivi”.
Le “giustificazioni” utilizzate dai piloti, poi, follemente fomentati dall’azione sul campo, ripropongono la narrativa della “banalità del male”, già raccontata nel film “Fahrenheit 9/11” dal regista Michael Moore. Atmosfere tragiche in cui l’arida insensibilità dei marines cavalca impunita al ritmo di canzoni metal, tra le quali spicca “Fire water burn” dei Bloodhound Gang.2

Nell’aprile 2010, le immagini brutali faranno il giro del mondo, grazie a Wikileaks (ma soprattutto, come vedremo, grazie a Manning), con il titolo caustico di “Collateral Murder”. 3

Dopo aver visionato più volte il video Manning è in preda a una tempesta emotiva.
Una condizione di travaglio interiore che si evince chiaramente dalle numerose conversazioni intrattenute via chat con Adrian Lamo.
In una di queste scrive: “Io voglio che la gente veda la verità, che la vedano tutti, perché se non hai informazioni non puoi decidere, non puoi esercitare il tuo ruolo di opinione pubblica”. 4

L’obiettivo del soldato, ora, è volto a creare le condizioni per far leva sulla maggioranza dei cittadini, attraverso un atto di disobbedienza civile.

A Julian Assange, Manning, arriva quasi per caso. Non essendo mosso, come abbiamo visto, da motivazioni di tipo economico, ma esclusivamente morali, Bradley ha bisogno di una guida, di una figura cui potersi affidare (e fidare).

La trova in un “australiano fuori di testa dai capelli bianchi” che il 25 novembre 2009 ha pubblicato su Wikileaks – in ordine cronologico – oltre 500 mila messaggi, scambiati l’11 settembre 2001 da privati e dipendenti governativi, via sms e pager (cercapersone). 5

Testimonianze che partono poco prima dell’attacco, fino al crollo delle “Torri gemelle”.

Ne esce un racconto dettagliato e angosciante del giorno più buio per gli Stati Uniti dalla fine della Seconda Guerra mondiale.

Manning intuisce che i documenti possono arrivare solo dall’Nsa (National Security Agency ndr). La circostanza suggerisce al ragazzo di Crescent di prendere contatto con Wikileaks.

I primi “colloqui” con Assange risalgono alla fine di novembre del 2009.
All’inizio, costellati da cautela e diffidenza, diventano, con il passare delle settimane, sempre più stretti.
All’editore australiano, Manning girerà, dopo averlo copiato su un banalissimo cd, un patrimonio inestimabile di documenti. Si tratta di materiale che riguarda, prevalentemente, la guerra in Afghanistan e Iraq e dispacci diplomatici.

Per la trasmissione dei dati, Wikileaks, crea una sorta di rete privata con la sua fonte: i file, sottoposti a cifratura, vengono inoltrati usando l’Aes 256 (Advanced Encryption Standard, con chiave cifrata a 256 bit) e poi inviati via Ftp (File transfer protocol) a un indirizzo internet collegato a uno specifico server. Le chiavi di decrittazione, che rappresentano l’ultimo passaggio, sono spedite – separatamente – attraverso il dispositivo Tor (The onion router).

Dopo la pubblicazione di “Collateral murder” (avvenuta il 5 aprile 2010, ndr), Manning non è più lo stesso. La paura di un arresto occupa il posto che poco prima era destinato all’inquietudine.
Si sente solo. Braccato.

La necessità di trovare una persona con cui sfogare le tensioni accumulate, non è altro che il primo, inconsapevole, passo verso l’abisso.
E, come spesso capita in queste circostanze, la poca lucidità porta a scelte sbagliate.

A maggio 2010 contatta, con il nickname di Bradass87, un hacker (Adrian Lamo) già condannato per aver violato i computer del New York Times, Microsoft e Yahoo!. 6
“Ho fatto un gran casino – gli scrive -. Penso di essere nella merda molto più di quanto non lo sia stato tu”.

Mentre si confessa, Manning, non sospetta di Lamo che, invece, sta tramando alle spalle dell’amico per venderlo alle autorità.
Pochi giorni dopo, a causa della denuncia dell’hacker di origine colombiana, Bradley Manning viene arrestato e portato in una prigione militare americana in Kuwait.

Di Adrian Lamo7 si perderanno le tracce fino al 16 marzo 2018, quando il suo corpo, senza vita, sarà rinvenuto in un appartamento di Wichita, in Kansas.
L’autopsia eseguita sul cadavere non svelerà le cause della morte. (segue)

 

NOTE:
1 David Leigh, Luke Harding, “Wikileaks, la battaglia di Julian Assange contro il segreto di Stato”, Nutrimenti
2 (The roof, the roof, the roof is on fire, The roof, the roof, the roof is on fire, The roof, the roof, the roof is on fire, we don’t need no water let the motherfucker burn, burn motherfucker burn…Il tetto, il tetto sta bruciando – ripetuto tre volte -, non abbiamo bisogno d’acqua, lasciamo bruciare quel figlio di puttana, brucia figlio di puttana, brucia)
3 www.collateralmurder.com
4 David Leigh, Luke Harding, “Wikileaks, la battaglia di Julian Assange contro il segreto di Stato”, Nutrimenti
5 Ludovica Amici, “Wikileaks”, Editori Riuniti
6 David Leigh, Luke Harding, “Wikileaks, la battaglia di Julian Assange contro il segreto di Stato”, Nutrimenti
7 Sam Levin, The Guardian, “Adrian Lamo, hacker who turned in Chelsea Manning, dies aged 37”
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