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Cultura

La Rimini che non c’è più

C’era una volta un’altra Rimini, volutamente distinta e distante dai locali che sorgono sulle colline di Riccione. Si puo’ dire che quella Rimini fosse nata negli anni ‘80, per poi vivere un ventennio in cui “la passeggiata” di viale Regina Elena era il palcoscenico che per quattro mesi all’anno veniva calcato da migliaia di giovani provenienti da tutta Europa nonché da molte altre parti del mondo poiché lì, in quella lingua di asfalto parallela al lungomare, si concentravano la vita e i divertimenti che avevano bramato per tutto l’anno e, sopratutto, la possibilità di poter essere veramente sé stessi, senza vivere nel timore di venire giudicati da chicchessia.

Una Rimini in cui il sole sorgeva a mezzanotte e calava alle otto del mattino, ché la notte era troppo bella per non essere vissuta fino al cappuccino e ai bomboloni appena sfornati. Un frullatore in cui svanivano i giorni e perfino le ore, dove l’una del pomeriggio erano le sette del mattino e la colazione l’antipasto della cena.

C’era la notte e c’erano le stelle, come cantava Alex Britti, ma sotto il cielo della Riviera a dominare la scena c’erano loro, le vere e proprie anime dei quattro locali che il pezzo di storia di cui sto scrivendo l’hanno fatta: Blow Up, Chic, Carnaby e Life. Potremmo definirle le quattro sorelle di viale Regina Elena, poco più di una manciata di metri quadrati nei quali ogni notte si riversavano una moltitudine di gruppi di ragazze e ragazzi provenienti prevalentemente da Svezia, Olanda, Germania, Finlandia e Regno Unito ma anche dalle più lontane America e Australia.

Era Rimini, certo, ma in quei caldi mesi d’estate la lingua più parlata non era mica l’italiano, ma l’inglese, al punto che intere generazioni di riminesi e lavoratori stagionali provenienti da altre parti dello Stivale impararono quel che sanno dell’idioma anglosassone parlandolo con loro, i turisti. Anzi, volendo essere precisi, l’inglese era lo scoglio che qualsiasi maschio intento a socializzare con il gentil sesso non autoctono doveva superare. Di necessità virtù, ça va sans dire.

Ecco, durante il ventennio riminese, le quattro sorelle di viale Regina Elena furono prima create e poi gestite a immagine e somiglianza di personaggi capaci di incidere a tal punto da diventare gli archetipi iconografici del cosiddetto vitellone romagnolo, playboy ambitissimi dalle ragazze di cui sopra, il cui frontman incontrastato è senza dubbio quel Mauro Zanza a cui, per intenderci, nel 2015, in occasione del suo sessantesimo compleanno, il quotidiano tedesco Bild dedicò un servizio di un’intera pagina. Insieme a lui almeno una decina di altri personaggi che possono dire di aver goduto fino all’ultima goccia di quelli che tutti, da queste parti, definiscono come “gli anni più belli”: Stefano Lucciola, Francesco Giuliani, Stefano Cocola e Giuseppe Marchitelli i nomi che mi vengono in mente.

Di questi, i primi tre hanno gestito fino a due anni fa il Blow Up, costretti dall’evidenza dei fatti a passare la mano, così come dovette fare Zanza con lo Chic, ormai tre lustri orsono. Segno dei tempi che cambiano, certo. D’altra parte la concorrenza di paesi come la Spagna è agguerritissima e viaggiare è diventato sempre più semplice. Se a queste due contingenze aggiungiamo che ad altre latitudini si è investito moltissimo nel turismo mentre, qui in Italia, siamo rimasti fermi ad almeno trent’anni fa, beh, i conti sono presto fatti.

Corre l’anno 2018 e lì, in quella stessa Rimini che di notte faceva sognare da svegli, famiglie e meno giovani hanno preso il posto dei giovani e giovanissimi che ne avevano fatto una sorta di Erasmus del divertimento. Le insegne del Blow Up si sono spente, quelle di Carnaby e Life rimangono accese ma nella consapevolezza che i numeri di “quei tempi” non sono che un miraggio di anno in anno sempre più sbiadito. Però rimangono loro, i personaggi che hanno allevato generazioni di pierre facendo dei propri locali dei veri e propri punti di riferimento, dei santuari di quella vita notturna sana e spensierata basata sul concetto di socializzazione che oggi sembra essersi perso nei mille rivoli del Web.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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