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Mattarella, il suo discorso e gli spaghetti al sugo

«Mattarella… Mattarella… Mattarella…», la voce femminile della Boldrini scandiva da ormai qualche minuto, con tono inevitabilmente meccanico, il nome di quello che di lì a poco sarebbe divenuto il nuovo Capo dello Stato. Dalla sala, rimbalzando di parete in parete e lungo tutto il corridoio, il suono della sua voce s’insinuava nella cucina, dove pranzavamo insieme io, mia moglie e nostra figlia. Spaghetti al pomodoro, ça va sans dire. Poi, giù l’ultimo boccone, giusto in tempo per sentire l’applauso scrosciante con cui l’aula ha accolto il «Mattarella» numero cinquecentocinque, al quale è prontamente seguito quello pronunciato da Vittoria Amelia, nel contempo intenta a sfogliare uno dei suoi amati libri di fiabe illustrate e a domandarsi se Mentana avesse una casa oppure no, ed il sorriso divertito di Irene. Questo il mio personalissimo fermo immagine di sabato mattina, ma veniamo a ieri, ovvero al discorso pronunciato dal neo Presidente della Repubblica dinnanzi ai grandi elettori. In questo caso mi trovavo in macchina, in perfetta solitudine, intento a fare rientro alla base dopo il primo appuntamento della giornata.

Il volume dell’autoradio piuttosto alto, unitamente alla sua intonazione vocale da professore d’altri tempi e ai continui applausi (42) che ne cadenzavano ogni singolo paragrafo, conferivano al Presidente un certo non so che di Istituto Luce, al punto che per un attimo mi è balenata davanti agli occhi l’immagine – rigorosamente in bianco e nero – di migliaia di persone intente ad ascoltare il discorso diffuso dai megafoni appositamente posizionati ad ogni angolo della piazza.

Ma entriamo nel merito delle parole, dei contenuti; e qui ce n’è davvero per tutti. A partire da lavoro, crisi, economia, speranze, famiglie, giovani e cambiamento passando per le istituzioni, rispetto alle quali Mattarella osserva che «è necessario ricollegare a esse quei tanti nostri concittadini che le avvertono lontane ed estranee». Immancabile la metafora calcistica, che il Capo dello Stato utilizza facendo sua la figura dell’arbitro, che gli è stata più volte cucita addosso nei giorni scorsi, sottolineando che «è e sarà imparziale» e auspicando che i giocatori – ossia i politici – «lo aiutino con la loro correttezza». Campa cavallo.

Poi i riferimenti. Quello alla Resistenza e al sacrificio di tanti «che settanta anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo», ma non quello ai connazionali che scelsero in buona fede di combattere sul fronte opposto; passo indietro, sulla strada della memoria condivisa, rispetto al suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi e all’ex presidente della Camera Luciano Violante.

Ineccepibile, invece, il passaggio dedicato alla lotta alla mafia ed alla corruzione, definite «priorità assolute», e il doveroso omaggio a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Giustamente, il neo Presidente si sofferma anche sulla minaccia costituita dal dilagare del terrorismo internazionale e, dopo il ricordo della tragica morte di Sergio Taché (bambino ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982), è netto nell’affermare che «va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa» ma, allo stesso tempo, precisa che «considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore», riservandosi di chiudere soffermandosi su un argomento relegato troppo spesso in seconda o terza fila nella scala delle priorità: «una lotta impegnativa che non può prescindere dalla sicurezza: lo Stato deve assicurare il diritto dei cittadini a una vita serena e libera dalla paura». Concetto che si ricollega al ringraziamento tributato a Magistratura e Forze dell’Ordine «che, spesso a rischio della vita, si battono per contrastare la criminalità organizzata».

Ecco il turno dell’Europa, il cui incipit è (a sorpresa) la Caduta del Muro di Berlino ed il conseguente crollo dell’ideologia comunista, da cui è scaturita la «speranza di affermazione di valori di democrazia», mentre per quanto riguarda la situazione attuale non esita ad affermare che «la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio», per poi soffermarsi sull’immigrazione parlando a chiare lettere di «diritto di cittadinanza», ma definendola un’emergenza «che deve vedere l’Unione Europea più attenta, impegnata e solidale».

Poi il tributo alle Forze Armate, e il passaggio riservato ai Marò, sulla cui situazione si esprime affermando che «occorre continuare a dispiegare il massimo impegno affinché la delicata vicenda dei due nostri fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trovi al più presto una conclusione positiva, con il loro definitivo ritorno in Patria», senza dimenticare, subito dopo, di «rivolgere un pensiero ai civili impegnati, in zone spesso rischiose, nella preziosa opera di cooperazione e di aiuto allo sviluppo. Di tre italiani, padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli non si hanno notizie in terre difficili e martoriate. A loro e ai loro familiari va la solidarietà e la vicinanza di tutto il popolo italiano, insieme all’augurio di fare presto ritorno nelle loro case».

Infine, la parte del discorso d’insediamento che più è riuscita a emozionarmi, perché incardinata su di un concetto che, per mio padre, era un vero e proprio mantra, ovvero quella visione della Cosa Pubblica secondo cui «per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi, i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti». Ebbene, vi confesso che in quelle parole ho risentito le stesse che mio padre mi ripeteva spesso, soprattutto quando, dopo che fui eletto in consiglio comunale, tentava di spigarmi l’importanza fondamentale di ogni singolo componente dello Stato, dal Presidente della Repubblica, all’usciere che accogliechiunque si rechi in Comune.

Per qualche frazione di secondo ho pensato di chiamarlo al telefono per commentare, come di consuetudine, il discorso insieme a lui, ma poi ho realizzato che la realtà era cambiata, e mi sono consolato riflettendo sul fatto che la memoria per chi si è prodigato per la propria Comunità rimane. Uno Stato fatto di persone e una memoria composta da una moltitudine memorie si traducono in una Patria che è Terra dei Padri. Di ieri, di oggi e di domani. Per sempre.

In bocca al lupo, Presidente!

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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