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I politici e l’irresistibile attrazione per le metafore calcistiche

Pensi a Silvio Berlusconi ed alla nascita di Forza Italia e non ricordi l’ingresso in politica, ma la “discesa in campo”. Da allora, un vero e proprio florilegio di metafore calcistiche. Correva l’anno 1994 e, seppur persi ai calci di rigore, la Nazionale – gli Azzurri, appunto – si giocava i Mondiali schierando gente come il Divin Codino, Baresi e Maldini, così, giusto per fare qualche nome. A livello di club, poi, il “suo Milan”, era padrone incontrastato del palcoscenico internazionale, roba da rifilare quattro pappine al Barcellona in finale di Coppa Campioni e la più scarsa delle nostre squadre valeva le big degli altri campionati, non propriamente pizza e fichi, insomma.

Da allora, nulla fu come prima. Politici che parlano come i calciatori e viceversa. Non solo parole, perché la politica, oltre al gergo pallonaro, ha sdoganato anche le veline – una volta a (quasi) completo appannaggio dei calciatori – portandole perfino in Parlamento o nei consigli regionali. Sempre più spesso capita di riuscire a distinguere la Gazzetta dal Corriere o dal Giornale solo grazie al rosa della sua carta, tale è l’abuso lessicale.

Il giuoco del calcio (per dirla con Berlusconi), d’altronde, è radicato a tal punto nella cultura popolare nostrana da riuscire nell’impresa di solleticare l’immaginario di appassionati e non, basti pensare che perfino Papa Francesco, nella sua opera di riavvicinamento tra Chiesa e fedeli, attinge a piene mani tra figure retoriche di estrazione pallonara.

Così, ai giorni nostri ci s’imbatte nel Salvini “goleador” che non crede più agli assist del Berlusconi “regista” che, a sua volta, vede come fumo negli occhi un ritorno di Fini nei panni del “commissario tecnico” ripiangendo comunque i tempi (ed i voti) dell’epoca del centrodestra “a tre punte” uscito sconfitto dal “match di ritorno” con Prodi, anche se “di misura” e con lo “zampino dell’arbitro”.

Nella parte sinistra del campo, a farla da padrone è lui, Matteo Renzi, che ad ogni piè sospinto affabula i suoi ascoltatori sciorinando metafore a go go, grazie alle quali le elezioni europee divennero “un derby”, e D’Alema e Veltroni sono “Berazot e Paolo Rossi” mentre lui ed i suoi sarebbero “Prandelli e Balotelli”. Che sia proprio questo, il problema?

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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