Ci sono figure che non appartengono solo alla storia, ma alla coscienza collettiva. Alessandro Volta è una di queste. Non perché è finito su libri e banconote, ma perché ha cambiato la realtà. E lo ha fatto con le sue mani, con la sua testa, con la sua fame di sapere.
Il Governo, con il convegno “Alessandro Volta: building the future with science” che si apre oggi a Cernobbio, ha avuto il merito — finalmente — di restituire centralità a questa figura straordinaria. Un’operazione culturale, educativa e politica nel senso più nobile del termine. In questo senso va dato merito ad Alessio Butti, che in qualità di Sottosegretario all’Innovazione ha sostenuto con forza questa iniziativa, affermando che il pensiero scientifico, la ricerca e l’innovazione devono tornare ad essere patrimonio condiviso. Giusto. Anzi, urgente.
Perché diciamolo chiaramente: abbiamo smesso di raccontare il valore della fatica, dello studio, dell’esperimento, anche del fallimento, e ci sorprendiamo se troppi dei nostri ragazzi preferiscono restare sdraiati sul divano a scrollare TikTok piuttosto che alzarsi per creare qualcosa.
Alessandro Volta non è stato un genio per caso. Lo è diventato perché aveva curiosità, coraggio e una visione più grande di sé. Ha messo in discussione tutto quello che sapeva, ha cercato, ha sbagliato, ha ricominciato. E alla fine ha acceso una scintilla — non solo fisica, ma culturale — che ha dato energia a tutto il mondo moderno.
Ecco perché oggi, se vogliamo parlare seriamente di innovazione, dobbiamo partire da lì. Dalla scelta di essere protagonisti. Di metterci in gioco. Di conoscere prima di delegare, di capire prima di cliccare, di costruire prima di consumare.
Viviamo in un’epoca in cui abbiamo accesso a strumenti potentissimi, come l’intelligenza artificiale, che ci permetterebbero di potenziare esponenzialmente il nostro sapere. Ma se quel sapere non c’è? Se mancano le basi, se manca la cultura, se manca — come dice il Professor Derrick de Kerckhove — il Capitale Cognitivo?
Il rischio, allora, è che l’IA diventi solo una stampella per chi non sa più camminare da solo. Un amplificatore del vuoto. Perché puoi avere il miglior processore al mondo, ma se non ci carichi nulla, non ti darà nulla.
E qui sta il dramma del nostro tempo: milioni di giovani rischiano di crescere senza alcun capitale cognitivo da accelerare. Connessi, ma disattivati. Intrattenuti, ma mai formati. Aggiornati su tutto, ma competenti su nulla.
Ecco perché celebrare Alessandro Volta oggi è molto più che un doveroso omaggio: è un atto di ribellione culturale. È un modo per dire che studiare conta ancora. Che la conoscenza è potere, vero. Che l’innovazione non è l’ultima app, ma il primo passo per cambiare davvero le cose.
La verità è che abbiamo bisogno di un nuovo immaginario. Di eroi che non siano influencer, ma inventori. Di un Paese che smetta di inseguire mode e torni a generare idee. Di una politica che non si limiti a gestire, ma abbia l’ambizione di costruire il futuro.
Per questo, come cittadino, come comunicatore, come padre, dico grazie a chi oggi ha scelto di rimettere Volta al centro. Non per celebrare il passato, ma per riscrivere il presente. E per ricordarci che, se vogliamo davvero essere protagonisti nel mondo che cambia, dobbiamo smettere di scrollare e iniziare a studiare, sperimentare, sbagliare, ricominciare.
Proprio come ha fatto lui.
