Carta canta. Anzi, grida, come nel caso della massa della decretazione – il cosiddetto piano “Cura Italia” che avvolge l’emergenza Coronavirus. Il premier Conte ha stanziato 25 mld e poi altri 25 per un “flusso di cassa” di 300 ma, finora l’ha fatto solo attraverso gli annunci intermittenti che ricordano quelli di Troisi in “Non ci che piangere” (Ricordati che devi morire). E intanto il sistema Paese ha già preso 150 mild di euri. E probabilmente, dice il Presidente del parlamento David Sassoli, su un Pil di 1800 mld l’anno ne perderemo 160 al mese in blocco delle attività produttive. Una catastrofe.
Che potrebbe ridimensionarsi se riuscissimo, una volta tanto, ad estirpare il vero cancro d’Italia: la burocrazia. Aveva ragione Kafka: i ceppi di un’umanità tormentata sono gli inferni di carta bollata. L’Inps sta sfornando decine di moduli e circolari per potere accedere ai contributi e alle agevolazioni previste in quel primo decreto dei 600 euro (se va bene arrivano a maggio, sennò a giugno). Le gare fatte con la Consip e Protezione Civile su mascherine, caschi e respiratori sono quasi inutili: metà delle forniture arriverà quando l’emergenza non ci sarà più (e le dotazioni già arrivate sono quelle sbagliate); anche se il supercommissario per l’emergenza Arcuri ora prova a commissariare i commissari.
