Dal mitologico “discorso del predellino” – correva l’anno 2007 – Silvio Berlusconi ha dovuto ripercorrere, come un Sisifo qualsiasi, più e più volte il medesimo cammino. A pensarci bene parrebbe proprio una punizione inflittagli da Zeus che, forse infastidito dall’irreferenabile scalata dell’Olimpo partita una quarantina d’anni fa da Arcore, deve aver ben pensato di logorarlo sottoponendolo ripetutamente ad una pratica per lui paragonabile alla tortura della goccia cinese: la democrazia interna al suo partito. Ché, volendo essere ancora più chiari, è per Berlusconi l’equivalente della kriptonite per Superman, dell’aglio per il Conte Dracula o dell’acqua santa per un posseduto dal demonio. Vade retro, primarie!
Dico dal “predellino” per il semplice fatto che, prima del Popolo della Libertà, in Forza Italia tale argomento non è mai stato all’ordine del giorno, tant’è che si guadagnò l’appellativo di partito di plastica.
Poi, vuoi la contaminazione con gli ex aennini, vuoi l’avvento di internet e vuoi che gli anni passano pure per Silvio Berlusconi, la pandemia della domanda di democrazia interna si è propagata riuscendo ad avere la meglio anche dei personaggi che avevano tutta l’aria di essere le barriere più alte erette dal sistema immunitario del berlusconismo: pensiamo a Bondi (sì, lui, Bondi!), Cicchitto, Verdini, Fitto, Alfano e adesso perfino Toti, Brunetta, e Mara Carfagna.
Il problema è che l’ineluttabilità del presente renda ogni ripetizione della storia la brutta copia di quella precedente: si cominciò con uno scontro epico e per certi aspetti anche alto e spettacolare, quello con l’ex alleato di sempre nonché erede designato Gianfranco Fini, che culminò in quel drammatico «che fai mi cacci» divenuto, per i mesi a seguire, un duello rusticano capace di monopolizzare l’intero dibattito politico nazionale. Ricordiamo che alle elezioni politiche del 2008 il Pdl sfiorò il 38% con oltre 13 milioni di voti.
Dopo Fini – che, a conti fatti, scegliendo di non dimettersi dalla presidenza della camera e di non chiarire immediatamente la vicenda della casa di Montecarlo si suicidò politicamente – fu la volta di Angelino Alfano, che Berlusconi prima presentò come il naturale erede al trono, salvo poi rimangiarsi tutto derubricandolo a semplice delfino «senza quid». Risultato: alla prima occasione, il buon Angelino fece armi e bagagli e, insieme a una nutrita pattuglia di ex fedelissimi berlusconiani, fondò il Nuovo Centrodestra grazie al quale continuò indisturbato a governare con il centrosinistra (Letta prima e Renzi poi). Gemelli diversi Fini e Alfano, travolti dall’insolito destino di essere considerati entrambi «traditori».
Facciamo un ulteriore salto in avanti e arriviamo ai giorni nostri: stavolta l’autore dello strappo è il governatore della Liguria Giovanni Toti, reo – pensate un po’ – di aver chiesto a gran voce l’introduzione delle primarie per consentire a Forza Italia di riprendere contatto col territorio e potersi così rilanciare attraverso una grande consultazione popolare per determinare i vertici locali e nazionali.
La risposta, definitiva, è giunta dopo alcune settimane segnate da un dibattito oggettivamente stucchevole, culminato con l’ennesima riedizione di Berlusconi che, dopo aver rifondato Forza Italia, riscoperto “lo spirito del ’94” e riproposto “il contratto con gli italiani”, ha ben pensato di riprendere il “discorso del predellino” lanciando un improbabile “appello all’Altra Italia”.
Peccato che nel frattempo il suo partito sia inesorabilmente passato dal 38 a circa il 6%. Quisquilie, direbbe Totò.
Siccome noi di Orwell siamo più attratti dalle dinamiche di comunicazione rispetto a quelle puramente politiche, e considerando che ci troviamo di fronte a uno degli ultimi episodi di un vero e proprio unicum in termini di marketing elettorale, nei prossimi giorni anziché cimentarci nella cronaca riavvolgeremo il nastro della storia, e lo faremo attraverso l’intervista esclusiva a uno dei protagonisti della nascita di Forza Italia, un personaggio che oltre ad avere le phisique du role del Leonardo Notte interpretato da Stefano Accorsi nelle fortunate serie televisive “1992” e “1993”, avrà moltissimo da raccontarci in merito al genio indiscusso dell’uomo che in soli 67 giorni costruì la forza politica capace di vincere le elezioni del 1994 e di rappresentare, per oltre un ventennio, una parte consistente del popolo italiano.
